USA 2006
REGIA
Billy Ray
INTERPRETI
Chris Cooper, Ryan Phillippe, Laura Linney
SCENEGGIATURA
Adam Mazer, William Rotko, Billy Ray
di Daniele Pellegrini
E’ il 2057 e il sole sta morendo.
Un gruppo di scienziati viene spedito nello spazio a bordo dell’Icarus II per sganciare una bomba nucleare in grado di riattivare il sole. In teoria.Cillian Murphy, attore feticcio di boyle, interpreta il ruolo di un fisico, Capa.
La costruzione della navicella è alquanto particolare, è preceduta da uno scudo protettivo che non permette ai raggi del sole di oltrepassarla.
All’interno vi è una sala di osservazione che vede alternarsi i membri dell’equipaggio per poter osservare il sole tramite uno schermo filtrato.
Pochi elementi originali per quello che sembra essere il solito film di fantascienza.
Sunshine conserva in partenza elementi classici ma finisce per mischiarli ai caratteri dell’action-movie e dell’horror.
Ne esce un ibrido che, seppur derivativo, è totalmente fuori dagli schemi.
Boyle modernizza la fantascienza contaminandola con altri generi.
Sembra di assistere ad un best of della cinematografia fantascientifica, da 2001 Odissea nello spazio in poi. Si cita tutto il citabile, da 2001, passando per Solaris, Dark Star, Babylon 5, Mission to Mars, fino ad arrivare al film cui Sunshine deve maggiormente : Event Horizon.
Quando l’Icarus II riceve una richiesta di soccorso lanciata sette anni prima dall’equipaggio della dispersa Icarus I il film di Boyle vira bruscamente sulle coordinate del film di Anderson (i sette anni sono infatti gli stessi trascorsi dall’analoga richiesta di aiuto dell’ Event Horizon, alla loro ricezione da parte della Lewis and Clark), se ne appropria e lo celebra.
Alex Garland, lo sceneggiatore, imprime anche qui il suo marchio di fabbrica.
Come in The Beach e 28 giorni dopo, divide il film in due tempi distinti e contradditori e racconta ancora una volta una storia sull’uomo, la sua natura, i suoi istinti e i suoi limiti, servendosi di materiale filmico già esistente.
La regia di Boyle è al servizio di Garland, i due autori vivono in simbiosi, lo stile derivativo e citazionista del primo si fonde e vive con quello iperrealistico e visionario del secondo.
Ciò cui si assiste è qualcosa di inedito ed avvolgente, un alternarsi di scene di rara bellezza (la sequenza della riparazione dello scudo, lo splendido finale) e di forte impatto visivo che catturano e accecano lo spettatore trascinandolo fino a fine visione.
Valerio Mastandrea, Giovanna Mezzogiorno, Ennio Fantastichini, Francesco Pannofino,Roberto Citran
E’ proprio carino questo NOTTURNO BUS, un film interessante nella sua semplicità, senza troppe pretese e manie di grandezza sebbene il soggetto non sia così lineare, un buon esordio per il regista Davide Marengo al lungometraggio. Ma presentiamo la trama innanzitutto, la quale è tutt’altro che lineare dato che mette in campo un unico punto fermo e nello stesso tempo sfuggente, ossia un microchip che deve arrivare in determinate mani con problemi e personaggi che vi ruotano attorno. Tutto ha origine dal piccolo oggetto e nell’aeroporto di Fiumicino si inceppa il meccanismo di scambio tra violenti faccendieri a causa di una coincidenza: uno dei “passamano” viene rapinato del portafogli e il microchip si trova all’interno del suo passaporto. Sempre casualmente si ritroverà inserito nell’intrigo anche un autista di autobus notturni, da qui il titolo, interpretato da un timido, vile, e senza speranza Valerio Mastandrea, che da prova di un’ ottima capacità recitativa impersonando un individuo non così facile da gestire. La ladra è un’ affascinante Giovanna Mezzogiorno, che inizialmente la vediamo in modalità ladra-truffatrice come femme fatale, ma poi si scoprirà essere una ragazza fragile e dal passato burrascoso. Altri co-protagonisti sono un duo dai tratti comico-grotteschi, dove l’accezione grottesca risiede nella contrapposizione delle differenti personalità dei due: un violento e chiassoso Francesco Pannolino in un ruolo che non si dimentica facilmente e un silenzioso e riflessivo, ma estremamente cinico, Roberto Citran, che da il volto a un personaggio apparentemente di contorno ma che completa e rende una persona sola il duo. Altro personaggio interessante è Matera, vecchio del mestiere di faccendiere in stile servizi segreti, saggio e freddo come il ghiaccio. Matera è interpretato da Ennio Fantastichino, il quale da vita ad una delle numerose sottotrame nel rapporto con la sua ex compagna, parentesi che spunterà più volte durante la visione e che da un tocco noir di pregevole fattura.
Davide Marengo gestisce il tutto con metodo ed è questo forse l’aspetto che brilla meno del film, le inquadrature, i movimenti di macchia a volte sono sbrigativi e spesso sono troppo da manuale, il regista non osa, se ne resta ancorato in uno stile abbastanza classico, anche nelle sequenze caratterizzate da giochi di luce e primi piani tipici dei canoni grotteschi. Probabilmente questo è dovuto al fatto che è il suo primo film e non gliene facciamo certo una colpa. Il risultato è comunque buono, il film scorre via non inceppandosi mai in punti morti e grazie alle buone recitazioni risulta all’altezza dell’intreccio.
Come dicevo prima se il regista avesse osato di più probabilmente il risultato sarebbe stato ottimo, ma c’è da dire che se le cose fossero andate fuori controllo, con un soggetto del genere si sarebbe rischiato il disastro. Film da vedere e da sostenere non solo perché è un buon prodotto, ma anche in considerazione di una rinascita del cinema di genere Italiano. Si, perché questo è proprio cinema di genere made in Italy.
Si può continuare ad amare anche dopo la morte? E se i morti nell’aldilà sono soli e quasi egoisticamente tentano di portare con loro gli amati vivi? Raccontata così sembra un ipotetico ponte tra occidente e oriente sulla concezione della “vita dopo la morte” (diciamo tra ghost e kairo tanto per chiarirsi bene le idee). Poi c’è il ritorno di Lamberto Bava alla regia, uno che negli anni 80 - primi 90 aveva girato tanti horror e gialli di stampo televisivo grazie alle produzioni dania film e che pur non realizzando mai opere davvero “fondamentali” vuoi per il nome che si porta dietro, vuoi perché forse dopo di lui (salvo qualche sporadico kamikaze) nessuno si è mai più cimentato in italia con un film smaccatamente “di genere”, gode di un suo seguito. Aggiungiamo in più che per una volta due produttori italiani si sono sbattuti per trovare un capitale decente e realizzare un film “internazionale” con un cast di nomi come Laura Harring, John Hannah e Pete Postlethwaite, si può tranquillamente dire che sulla carta c’erano tutti i requisiti per un buon prodotto. Invece nonostante tutto dopo la visione di ghost son si esce dal cinema quasi incazzati. Lamberto Bava che come già detto non è mai stato sto gran regista ha curato la sceneggiatura insieme a Silvia Ranfagni (autrice del mio miglior nemico di verdone e di mater natura, quindi diciamolo non proprio una garanzia) scrivendo una storia perennemente indecisa se essere horror o melò e così tutta la prima parte del film scorre tra dialoghi bolsi ed improbabili sull’amore infinito, sulla solitudine, sulla pazzia e via blaterando alternando sequenze potenzialmente toste divise tra nudi integrali, scene di sesso che azzardano anche l’incesto pedofilo (io ho visto anche un “omaggio” anche a le notti del terrore di andrea bianchi) e qualche discreta trovata prettamente horror E così il film nonostante una fotografia abbastanza curata, forse un po’ da cartolina e l’anomala atmosfera africana procede piattissimo ed incerto come se fosse in attesa di esplodere da un momento all’altro tentando di costruire una suspance che invece manca totalmente. Poi quando il film arriva al bivio decisivo che potrebbe dargli lo sprint fino al finale, Bava masochisticamente si da il colpo di grazia scegliendo come direzione definitiva quella del melò sprofondando terribilmente nelle lande desolate del ridicolo involontario e concludendo il tutto nel modo più assurdo e kitch possibile. Una soluzione inspiegabile, un eccesso di autorialità che non gli appartiene e che sarebbe stato invece più giusto accantonare a favore di una strada che lui comunque conosce meglio, ovvero quella dell’horror puro. Arrivare alla fine di ghost son è un tedio infinito e non bastano le ostentate nudità di una superbona come Laura Harring o qualche lieve scossa epidermica proveniente dai lontani b.movie anni 80 per salvare tutto quanto e così più che creare un ipotetico ponte tra ghost e kairo qui si gioca più sul sicuro facendo un quasi remake di Shock dell’immortale padre Mario Bava. Bisogna comunque dire che Ghost son è si un brutto film, ma per una volta può essere brutto come un qualsiasi filmetto horror che ci arriva dall’america magari con una produzione forte dietro. E questo forse per un film italiano del genere è gia tanto, magari una futura operazione del genere diamola in mano a registi giovani e capaci invece di vecchi dinosauri ormai appassiti. Mamma mia come siamo ridotti male….
di Raffaele PicchioThe Hills Have Eyes 2
USA 2007
REGIA
Martin Weisz
INTERPRETI
Michael McMillian, Jessica Stroup, Daniella Alonso, Jacob Vagas
SCENEGGIATURA
Wes Craven, Jonathan Craven
USA 2007
Nell’ondata immane di remake che ci sta travolgendo, quello de Le colline hanno gli occhi di Aja era sicuramente tra i meglio riusciti, anzi di più alcuni lo ritengono addirittura superiore all’originale. A questo punto un sequel era più che scontato. Craven che artisticamente non sta proprio in un bel periodo aveva visto bene in Aja una gallina dalle uova d’oro e così,visto il relativo successo del film,si è imbarcato in questa nuova impresa non solo producendo ma anche sceneggiando questo secondo capitolo con il figlio,cercando di mantenere intatti gli ingredienti del primo: un regista europeo che prendesse il posto di Aja, una storia che smaccatamente faccia la critica all’america interventista che combatte i propri mostri, un alto tasso di hard-gore che ora va tanto ed il gioco è fatto. Purtroppo il meccanismo stavolta si è bello che inceppato. Martin Weisz,il regista assoldato per questo sequel (aveva diretto il pallido rohtenburg sulle gesta del noto cannibale) non è Aja e stilisticamente il film ne risente molto sia nella messa in scena di una piattezza sconvolgente, assolutamente priva della minima suspance necessaria in opere come queste,sia nella direzione generale dei pessimi attori assolutamente improbabili nei loro ruoli che recitano e dicono cose incredibili. Ed è qui che arriviamo alla vera nota stonata del film: la sceneggiatura di craven e figlio. Weisz non è certo un maestro, ma neanche Kubrick sarebbe riuscito a rendere interessante o semplicemente “vedibile” un obbrobrio di sceneggiatura simile. I soldati descritti nel film sono di quanto più stereotipato ed improbabile si possa vedere (il sergente cattivo parolacciaro,il pacifista, il reazionario, il negro tattico, le due ficone di cui una madre di famiglia etc) e le battute che i due craven gli mettono in bocca sono da mettersi le mani dei capelli, la storia non decolla mai e sembra solo una lunga attesa in funzione di qualche scena gore e anche la famiglia mutante è agghiacciante nel senso più negativo della parola, tanto che ad ogni loro ingresso scattano grandi risate in quanto sono ancora più ridicoli di quelli presenti nel remake di Aja (unico vero neo di quel film). Si perché anche gli effetti speciali sono assolutamente convenzionali quando non addirittura ridicoli soprattutto nel makeup dei mostri. Ed anche nel versante del gore c’è da rimanere piuttosto delusi perché dopo una sequenza d’apertura tostissima (la migliore del film) ogni sequenza ricalca esattamente quella del suo predecessore in tono minore, poi aggiungendo il tono di scapezza con cui sono girate passano via che quasi neanche ci si accorge (ed anche la chiacchierata scena di stupro che più di una persona è stata giudicata rivoltante è in realtà davvero ridicola). Il film è talmente brutto che il vecchio seguito che girò Craven nel 1985 (e che anch’esso è terribile tanto da essere stato rinnegato dal regista stesso….si vede che il due non gli porta proprio bene) a confronto è un capolavoro di suspance e azione. Le colline hanno gli occhi 2 è quanto di peggio possa tirare fuori il nuovo sottomercato horror e Craven con questo si è definitivamente inciso la sua lapide personale.
di Raffaele Picchio