giovedì 31 maggio 2007

BREACH - L'INFILTRATO


Breach

USA 2006

REGIA

Billy Ray

INTERPRETI

Chris Cooper, Ryan Phillippe, Laura Linney

SCENEGGIATURA

Adam Mazer, William Rotko, Billy Ray


Che strano regista Billy Ray, quasi un feticista dei personaggi bizzarri che ogni tanto si affacciano qua e là nelle cronache giornaliere. Prima ha stupito il mondo con l’ottimo “Shattered Glass” (da noi uscito con il nome di “L’Inventore delle Favole”) ed adesso con questo spy-movie dal sapore antico. Il film è tratto da una storia vera e racconta le vicende di Robert Hanssen, una spia doppiogiochista, e dell'uomo che lo deve incastrare. Piccola premessa: scordatevi gli inseguimenti alla Jason Bourne o le acrobazie impossibile di Ethan Hunt, in the Breach non vedrete nessuna esplosione, nè sparatorie, nè tanto meno improponibili gadget. Di per se il fatto può essere un vanto per il film ma anche una grave perdita specialmente nei momenti in cui il film non fa altro che ripetere gli stessi concetti. Nulla di così imperdonabile, sia chiaro, the Breach è un ottimo film, però gestito male ed a fasi alterne. Ma la cosa che più colpisce del film di Ray è quando comincia ad indagare sulla duplice personalità di Hanssen, da una parte spia e maniaco sessuale (un gran porcellone !), dall'altra patriota e cattolico. La domanda quindi non è da quale parte sta Hanssen, ma quale sia e se c'è una differenza tra le due personalità, ed è qui che il film centra il bersaglio in pieno. Come se in realtà il film ci stia dicendo "dove è il limite di ciò che l'uomo può fare o essere". Naturalmente queste sono estrapolazioni della storia, che il più delle volte non si sposta dal essere una lineare spy-movie, con un solido finale che lascia qualche certezza e molti dubbi. Inutile dire che Chris Cooper è un mostro, ma si sapeva già da i tempi di “Stella Solitaria”, mentre la Linney continua ad essere una buona co-protagonista (ma non più di quello). Bravo anche Ryan Phillippe, anche se si ha sempre l'impressione che possa dare di più, peccato perchè dai tempi di “The Way of the Gun” non si è mai più ripetuto.

di Daniele Pellegrini

lunedì 28 maggio 2007

PREY - LA CACCIA E' APERTA


Prey

USA,Sud Africa 2007

REGIA

Darrell Roodt

INTERPRETI

Jamie Bartlett, Conner Dowds, Bridget Moynahan, Marius Roberts, Carly Schroeder, Peter Weller

SCENEGGIATURA

Beau Bauman,Darrell Roodt

Ah,finalmente un film talmente pessimo da meritare il voto di n.p.,che non vuol dire "non pervenuto" ma "nessuna pietà!". Mi sembra strano che non abbiano sfruttato la faccenda di "tratto da una storia vera"...o l'hanno fatto?boh?Forse hanno preso spunto da quell'atroce video del tizio sbrabato dai leoni che gira su internet.Comunque probabilmente a qualcuno sarà
successo di ritrovarsi sperduto in mezzo alla giungla assediato dalle belve feroci. Fatto sta che la famiglia Newman al completo,esclusa la mamma che ha lasciato col papà che (mica fesso)si è messo con un'altra,mal sopportata dalla figlia adolescente(un intreccio pricologico inedito,eh?),è in vacanza in un paese esotico,probabilmente in Africa,e visto che non vanno tutti d'accordo,decidono di fare un bel safari. Malauguratamente vengono attaccati da dei leoni che gli sbranano la guida e rimangono assediati da questi per due giorni finchè non arriva il papà a riprenderli. Con questo film la carriera di Peter Weller se ne è andata definitivamente a puttane. Il fallimento di Prey sta nel fatto che i leoni sono una paura infantile praticamente inconcretizzabile,visto che non ci capita di vederli mai in giro,in più sono degli animali dall'aspetto regale e la deriva ecologista dei nostri tempi non ci permette di idealizzarli come nemici,nè come pericolo. Insomma non fanno paura. Però non è certo il primo eco-vengeance in cui ci si trova a che fare con animali inconsieti(pensate a Night of the Lepus)ma in quei casi c'era uno script solido dietro. Invece Prey è scritto veramente male,come pochi casi ultimamente. Oltre alla banalità e i patetismi,oltre ai dialoghi pericolosamente imbarazzanti,oltre questo c'è proprio una sequenza di eventi buttati lì senza motivo. Le presunte vittime fanno di tutto per mettersi nei guai e pur di far succedere qualcosa si accetta che la jella nera si sia accanita su di loro. Il resto è tutto tirato via. Un'opera inutile.

di Gianluigi Perrone

domenica 27 maggio 2007

TURISTAS


Turistas

USA 2006

REGIA

John Stockwell

INTERPRETI

Josh Duhamel, Melissa George, Olivia Wilde, Desmond Askew, Beau Garrett

SCENEGGIATURA

Michael Ross


Così sui due piedi a Turistas,così come a John Stockwell,non gli daresti due lire. Il regista si è specializzato in film di ambientazione balneare con i precedenti Into the Blue e Blue Crash,film mediocri a base di fresche acque,tiepidi brividi e bollenti bikini. Turistas ci porta in Brasile di seguito a un gruppo di vacanzieri assortiti che vengono a cercare divertimento,emozioni forti e sesso facile. Il solito incidente li dirotta su una strada che li porterà a scoprire che il brasile non
è solo chiappe che ballano freneticamente. Naturalmente l'esistenza di Turistas si deve al successo di Hostel e a un ritorno del tema del terrore in trasferta. Quello che c'è di buono,in Turistas,è che l'aria che si respira nella prima parte è assolutamente reale,ricorda sul serio l'atmosfera che si vive in vacanza all'estero,quando si fa amicizia facilmente e si scopa a destra a
manca,distruggendosi l'esistenza con l'alcohol. Questo punto di vista è ben sviluppato nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi....anzi delle "personaggie",visto che ci si ricorda delle donne,soprattutto di Melissa George,perennemente in due pezzi.Anche il fattore di thrilling,cioè un gruppo di trafficanti di organi, non è campato in aria come spesso succede. Forse non in brasile ma in Asia,tipo in Thailandia,è possibilissimo trovarci sotto il bisturi di un qualche macellaio. L'intenzione sarebbe di accusare in maniera lieve il fatto che molto spesso si va in paesi con fortissimi problemi vedendone il lato superficiale senza curarsi dei disagi che vivono gli autoctoni,per non dire di incentivarli(vedi turismo sessuale). Quello che non funziona è l'orologio nella testa di Stockwell che,quando c'è da passare all'azione tergiversa e se neva,letteralmente,in apnea. Una ottima premessa che lasciava ben sperare crolla su propositi non mantenuti.

di Gianluigi Perrone

SUNSHINE


Sunshine

UK 2007

REGIA

Danny Boyle

INTERPRETI

Hiroyuki Sanada, Mark Strong, Benedict Wong, Cillian Murphy, Cliff Curtis, Michelle Yeoh, Troy Garity, Chris Evans, Rose Byrne

SCENEGGIATURA

Alex Garland


E’ il 2057 e il sole sta morendo.

Un gruppo di scienziati viene spedito nello spazio a bordo dell’Icarus II per sganciare una bomba nucleare in grado di riattivare il sole. In teoria.Cillian Murphy, attore feticcio di boyle, interpreta il ruolo di un fisico, Capa.
La costruzione della navicella è alquanto particolare, è preceduta da uno scudo protettivo che non permette ai raggi del sole di oltrepassarla.
All’interno vi è una sala di osservazione che vede alternarsi i membri dell’equipaggio per poter osservare il sole tramite uno schermo filtrato.
Pochi elementi originali per quello che sembra essere il solito film di fantascienza.
Sunshine conserva in partenza elementi classici ma finisce per mischiarli ai caratteri dell’action-movie e dell’horror.
Ne esce un ibrido che, seppur derivativo, è totalmente fuori dagli schemi.
Boyle modernizza la fantascienza contaminandola con altri generi.
Sembra di assistere ad un best of della cinematografia fantascientifica, da 2001 Odissea nello spazio in poi. Si cita tutto il citabile, da 2001, passando per Solaris, Dark Star, Babylon 5, Mission to Mars, fino ad arrivare al film cui Sunshine deve maggiormente : Event Horizon.
Quando l’Icarus II riceve una richiesta di soccorso lanciata sette anni prima dall’equipaggio della dispersa Icarus I il film di Boyle vira bruscamente sulle coordinate del film di Anderson (i sette anni sono infatti gli stessi trascorsi dall’analoga richiesta di aiuto dell’ Event Horizon, alla loro ricezione da parte della Lewis and Clark), se ne appropria e lo celebra.
Alex Garland, lo sceneggiatore, imprime anche qui il suo marchio di fabbrica.
Come in The Beach e 28 giorni dopo, divide il film in due tempi distinti e contradditori e racconta ancora una volta una storia sull’uomo, la sua natura, i suoi istinti e i suoi limiti, servendosi di materiale filmico già esistente.
La regia di Boyle è al servizio di Garland, i due autori vivono in simbiosi, lo stile derivativo e citazionista del primo si fonde e vive con quello iperrealistico e visionario del secondo.
Ciò cui si assiste è qualcosa di inedito ed avvolgente, un alternarsi di scene di rara bellezza (la sequenza della riparazione dello scudo, lo splendido finale) e di forte impatto visivo che catturano e accecano lo spettatore trascinandolo fino a fine visione.


di Alberto Viavattene

giovedì 24 maggio 2007

NOTTURNO BUS


Notturno Bus

Italia 2007

REGIA

Davide Marengo

INTERPRETI

Valerio Mastandrea, Giovanna Mezzogiorno, Ennio Fantastichini, Francesco Pannofino,Roberto Citran

SCENEGGIATURA

Giampiero Rigosi,Fabio Bonifacci



E’ proprio carino questo NOTTURNO BUS, un film interessante nella sua semplicità, senza troppe pretese e manie di grandezza sebbene il soggetto non sia così lineare, un buon esordio per il regista Davide Marengo al lungometraggio. Ma presentiamo la trama innanzitutto, la quale è tutt’altro che lineare dato che mette in campo un unico punto fermo e nello stesso tempo sfuggente, ossia un microchip che deve arrivare in determinate mani con problemi e personaggi che vi ruotano attorno. Tutto ha origine dal piccolo oggetto e nell’aeroporto di Fiumicino si inceppa il meccanismo di scambio tra violenti faccendieri a causa di una coincidenza: uno dei “passamano” viene rapinato del portafogli e il microchip si trova all’interno del suo passaporto. Sempre casualmente si ritroverà inserito nell’intrigo anche un autista di autobus notturni, da qui il titolo, interpretato da un timido, vile, e senza speranza Valerio Mastandrea, che da prova di un’ ottima capacità recitativa impersonando un individuo non così facile da gestire. La ladra è un’ affascinante Giovanna Mezzogiorno, che inizialmente la vediamo in modalità ladra-truffatrice come femme fatale, ma poi si scoprirà essere una ragazza fragile e dal passato burrascoso. Altri co-protagonisti sono un duo dai tratti comico-grotteschi, dove l’accezione grottesca risiede nella contrapposizione delle differenti personalità dei due: un violento e chiassoso Francesco Pannolino in un ruolo che non si dimentica facilmente e un silenzioso e riflessivo, ma estremamente cinico, Roberto Citran, che da il volto a un personaggio apparentemente di contorno ma che completa e rende una persona sola il duo. Altro personaggio interessante è Matera, vecchio del mestiere di faccendiere in stile servizi segreti, saggio e freddo come il ghiaccio. Matera è interpretato da Ennio Fantastichino, il quale da vita ad una delle numerose sottotrame nel rapporto con la sua ex compagna, parentesi che spunterà più volte durante la visione e che da un tocco noir di pregevole fattura.
Davide Marengo gestisce il tutto con metodo ed è questo forse l’aspetto che brilla meno del film, le inquadrature, i movimenti di macchia a volte sono sbrigativi e spesso sono troppo da manuale, il regista non osa, se ne resta ancorato in uno stile abbastanza classico, anche nelle sequenze caratterizzate da giochi di luce e primi piani tipici dei canoni grotteschi. Probabilmente questo è dovuto al fatto che è il suo primo film e non gliene facciamo certo una colpa. Il risultato è comunque buono, il film scorre via non inceppandosi mai in punti morti e grazie alle buone recitazioni risulta all’altezza dell’intreccio.
Come dicevo prima se il regista avesse osato di più probabilmente il risultato sarebbe stato ottimo, ma c’è da dire che se le cose fossero andate fuori controllo, con un soggetto del genere si sarebbe rischiato il disastro. Film da vedere e da sostenere non solo perché è un buon prodotto, ma anche in considerazione di una rinascita del cinema di genere Italiano. Si, perché questo è proprio cinema di genere made in Italy.

di Davide Casale

mercoledì 23 maggio 2007

SPIDERMAN 3



Spiderman 3

USA 2007

REGIA

Sam Raimi

INTERPRETI

Tobey Maguire, Thomas Haden Church, Topher Grace, Kirsten Dunst

SCENEGGIATURA

Ivan Raimi, Sam Raimi, Alvin Sargent


Dopo 10 anni di ragnatele,costumi rossi,riprese a testa in giù,acrobazie in computer
grafica,gelati al gusto di senso del ragno,cattivi con le braccia estensibili,fidanzate mignotte e
una zia cacacazzi che tra una battaglia all'ultimo sangue ed un'altra vi dice che sono solo
problemi della crescita e milioni(forse miliardi)di fan inneggianti al motto "da un grande potere
derivano grandi responsabilità" voi come vi sentireste? Vi sareste rotti i coglioni. E probabilmente anche lui. No,non parlo di Peter Parker,lui sono quasi 50 anni che è in giro.
Parlo del mio buon vecchio amico Sam,che se qualcuno glielo diceva,quando stava girando
La Casa(anzi quando stava girando Between The Woods!)che mezzo lustro dopo(eh,gli anni
passsano)si sarebbe trovato a dover dare un finale decente alla trilogia del più grande eroe
dei fumetti che abbia mai messo piede sulle pagine della Marvel avrebbe sicuramente detto
qualcosa di tipicamente del Michigan! Sicuramente sarà stato bellissimo all'inizio,divertente
nel prosequio ma poi? Beh deve averle avute piene. Perchè mentre per noi sono le due orette
e mettiamoci pure tutti gli inserti speciali dei dvd,per lui sono un decennio di vita! C'è da
diventare aracnofobici! Tutto questo può sembrare un futile preambolo per giustificare che
Spiderman 3 è una merda ma non è così. Siamo sicuri che non ci vuole scienza per capire
che la sceneggiatura del terzo capitolo dell'Arrampicamuri è stata scritta coi piedi ma del
buono c'è,ed è negli intenti. A rifletterci bene,in S3 hanno infilato tutto quello che potevano
infilarci: Sandman perchè ci voleva il nemico classico con tanto di genesi(e quella è bellissima,non rompete)e redenzione,la crisi sentimentale,la fine della storia con il Globlin e conseguente riappacificamento(in extremis) con l'amico Harry,Venom che non ci poteva essere Spiderman se non si vedeva una volta Venom(e infatti lo hanno rovinato). Il tutto infilato come in un paninazzo malato preparato a notte fonda in preda a fame chimica. Doveva venire fuori una capolavoro di quelli che ti tolgono il fiato,che stai lì con le lacrime agli occhi o con il fiato sospeso e invece loro hanno voluto fare una cosa più umana. Sam,forte della libertà creativa che gli hanno conferito,fa un enorme show di effetti speciali,citazioni,divertimento sopra le righe,incredibili evoluzioni e sentimento. Non ci sono dubbi che Spiderman 3 faccia acqua da tutte le parti e fa venire l'orticaria ai fan del fumetto ma è evidente come che domani sorgerà il sole il fatto che si siano divertiti da morire. Se non bastassero J.K. Simmond e Bruce Campbell,coi loro siparietti,è impagabile la trasformazioni di Peter/Toby in Tonymaneroide di quarta categoria. Ci sono scene girate in una maniera perfetta,soprattutto quelle di lotta e quelle in cg mentre quelle di raccordo o di commedia sono evidentemente raffazzonate. Beh,in quelle si sono divertiti da morire! C'è una volontà nel lavoro di Raimi che è commovente. Questo film ha una sola maniera per rimanere per sempre nei ricordi di una persona e questa è entranci nel momento in cui è bambino,in quel momento in cui lo spettatore vivrà l'evento come qualcosa di indimenticabile. Sì,un film per i piccoli fan e per chi vuole vederlo con quegli occhi. Non a caso spesso ci sono dei bambini che commentano le azioni di Peter/Spidey(vedi il bambino che lo intima di non baciare Gwen). Se si lascia perdere veramente tutto e ci si immerge dentro questo incredibile spettacolo ci si renderà conto che Spiderman 3 è già un classico che rimarrà negli annali e Sam...è finalmente libero!

di Gianluigi Perrone

GHOST SON


Ghost Son

Italia, Sudafrica, Spagna, Gran Bretagna 2006

REGIA

Lamberto Bava

INTERPRETI

John Hannah, Laura Harring, Pete Postlethwaite, Coralina Cataldi Tassoni

SCENEGGIATURA

Lamberto Bava, Silvia Ranfagni


Si può continuare ad amare anche dopo la morte? E se i morti nell’aldilà sono soli e quasi egoisticamente tentano di portare con loro gli amati vivi? Raccontata così sembra un ipotetico ponte tra occidente e oriente sulla concezione della “vita dopo la morte” (diciamo tra ghost e kairo tanto per chiarirsi bene le idee). Poi c’è il ritorno di Lamberto Bava alla regia, uno che negli anni 80 - primi 90 aveva girato tanti horror e gialli di stampo televisivo grazie alle produzioni dania film e che pur non realizzando mai opere davvero “fondamentali” vuoi per il nome che si porta dietro, vuoi perché forse dopo di lui (salvo qualche sporadico kamikaze) nessuno si è mai più cimentato in italia con un film smaccatamente “di genere”, gode di un suo seguito. Aggiungiamo in più che per una volta due produttori italiani si sono sbattuti per trovare un capitale decente e realizzare un film “internazionale” con un cast di nomi come Laura Harring, John Hannah e Pete Postlethwaite, si può tranquillamente dire che sulla carta c’erano tutti i requisiti per un buon prodotto. Invece nonostante tutto dopo la visione di ghost son si esce dal cinema quasi incazzati. Lamberto Bava che come già detto non è mai stato sto gran regista ha curato la sceneggiatura insieme a Silvia Ranfagni (autrice del mio miglior nemico di verdone e di mater natura, quindi diciamolo non proprio una garanzia) scrivendo una storia perennemente indecisa se essere horror o melò e così tutta la prima parte del film scorre tra dialoghi bolsi ed improbabili sull’amore infinito, sulla solitudine, sulla pazzia e via blaterando alternando sequenze potenzialmente toste divise tra nudi integrali, scene di sesso che azzardano anche l’incesto pedofilo (io ho visto anche un “omaggio” anche a le notti del terrore di andrea bianchi) e qualche discreta trovata prettamente horror E così il film nonostante una fotografia abbastanza curata, forse un po’ da cartolina e l’anomala atmosfera africana procede piattissimo ed incerto come se fosse in attesa di esplodere da un momento all’altro tentando di costruire una suspance che invece manca totalmente. Poi quando il film arriva al bivio decisivo che potrebbe dargli lo sprint fino al finale, Bava masochisticamente si da il colpo di grazia scegliendo come direzione definitiva quella del melò sprofondando terribilmente nelle lande desolate del ridicolo involontario e concludendo il tutto nel modo più assurdo e kitch possibile. Una soluzione inspiegabile, un eccesso di autorialità che non gli appartiene e che sarebbe stato invece più giusto accantonare a favore di una strada che lui comunque conosce meglio, ovvero quella dell’horror puro. Arrivare alla fine di ghost son è un tedio infinito e non bastano le ostentate nudità di una superbona come Laura Harring o qualche lieve scossa epidermica proveniente dai lontani b.movie anni 80 per salvare tutto quanto e così più che creare un ipotetico ponte tra ghost e kairo qui si gioca più sul sicuro facendo un quasi remake di Shock dell’immortale padre Mario Bava. Bisogna comunque dire che Ghost son è si un brutto film, ma per una volta può essere brutto come un qualsiasi filmetto horror che ci arriva dall’america magari con una produzione forte dietro. E questo forse per un film italiano del genere è gia tanto, magari una futura operazione del genere diamola in mano a registi giovani e capaci invece di vecchi dinosauri ormai appassiti. Mamma mia come siamo ridotti male….

di Raffaele Picchio

LA VIE EN ROSE


La Vie en Rose

Fr, UK, Rep. Ceca 2007

REGIA

Olivier Dahan

INTERPRETI

Marion Cotillard, Sylvie Testud, Clotilde Courau, Jean-Paul Rouve

SCENEGGIATURA

Olivier Dahan, Isabelle Sobelman

Cultori e amanti di Edith Piaf si strappano le vesti. Il film che vede protagonista il fenomeno musicale francese delude assai di più di quello che ci si potesse aspettare. Per prima cosa risente dei limiti fisiologici e naturali che un biopic, un film biografico, ha insiti di partenza. Troppo difficile scansarli. Tra questi il più evidente e ricorrente è sicuramente quello di voler raccontare tutto, troppo. Mettere su schermo l'intera vita di una persona necessità di una certosina operazione di selezione, di cernita di fatti salienti o meno, di scelta tra il mostrare ed il non mostrare. Ma anche il più preciso, puntiglioso e rigoroso selezionatore non potrà fare a meno di tagliare con l'accetta. Non tanto le situazioni, quanto i personaggi, i sentimenti, le emozioni, che necessitano di un respiro più ampio per essere dettagliate.
La Vie En rose cade, come la più sprovveduta preda, nella trappola che il 'biopic' gli tende: manca completamente di equilibrio tra le parti: lo spazio concesso all'infanzia e alla 'vecchiaia' della cantante francese sovrastano per tempo dedicato una parte centrale che risulta non solo esigua, ma anche confusa nel suo raccontare per sommi capi. Si viaggia quindi per stereotipi, per associazione di idee e per luoghi comuni: ne è esempio lampante il primo vero innamoramento della cantante, descritto da tre scene eloquenti quanto banali. Approccio, amore, morte. Fine. Inutile ribadire lo spessore del caso.
Ad appesantire una parte finale dilatata oltremisura contribuisce la scelta di spingere sul lato drammatico: l'esilie figura di Edith Piaf sul letto di morte per quasi mezz'ora è un chiaro segno di voler puntare sulle lacrime facili, mostrando carenza di idee più convincenti.
Ciononostante il film emoziona in più punti ma non certo per meriti di scrittura e regia di Olver Dahan: mentre le canzoni della cantante francese riescono ad elevare anche la scena più piatta, l'interpretazione di una trasformata e trasformista Marion Cotillard riescono a mascherare buchi e banalità altrimenti più evidenti.

di Michelangelo Pasini

martedì 15 maggio 2007

LE COLLINE HANNO GLI OCCHI 2


The Hills Have Eyes 2

USA 2007

REGIA

Martin Weisz

INTERPRETI

Michael McMillian, Jessica Stroup, Daniella Alonso, Jacob Vagas

SCENEGGIATURA

Wes Craven, Jonathan Craven

USA 2007

Nell’ondata immane di remake che ci sta travolgendo, quello de Le colline hanno gli occhi di Aja era sicuramente tra i meglio riusciti, anzi di più alcuni lo ritengono addirittura superiore all’originale. A questo punto un sequel era più che scontato. Craven che artisticamente non sta proprio in un bel periodo aveva visto bene in Aja una gallina dalle uova d’oro e così,visto il relativo successo del film,si è imbarcato in questa nuova impresa non solo producendo ma anche sceneggiando questo secondo capitolo con il figlio,cercando di mantenere intatti gli ingredienti del primo: un regista europeo che prendesse il posto di Aja, una storia che smaccatamente faccia la critica all’america interventista che combatte i propri mostri, un alto tasso di hard-gore che ora va tanto ed il gioco è fatto. Purtroppo il meccanismo stavolta si è bello che inceppato. Martin Weisz,il regista assoldato per questo sequel (aveva diretto il pallido rohtenburg sulle gesta del noto cannibale) non è Aja e stilisticamente il film ne risente molto sia nella messa in scena di una piattezza sconvolgente, assolutamente priva della minima suspance necessaria in opere come queste,sia nella direzione generale dei pessimi attori assolutamente improbabili nei loro ruoli che recitano e dicono cose incredibili. Ed è qui che arriviamo alla vera nota stonata del film: la sceneggiatura di craven e figlio. Weisz non è certo un maestro, ma neanche Kubrick sarebbe riuscito a rendere interessante o semplicemente “vedibile” un obbrobrio di sceneggiatura simile. I soldati descritti nel film sono di quanto più stereotipato ed improbabile si possa vedere (il sergente cattivo parolacciaro,il pacifista, il reazionario, il negro tattico, le due ficone di cui una madre di famiglia etc) e le battute che i due craven gli mettono in bocca sono da mettersi le mani dei capelli, la storia non decolla mai e sembra solo una lunga attesa in funzione di qualche scena gore e anche la famiglia mutante è agghiacciante nel senso più negativo della parola, tanto che ad ogni loro ingresso scattano grandi risate in quanto sono ancora più ridicoli di quelli presenti nel remake di Aja (unico vero neo di quel film). Si perché anche gli effetti speciali sono assolutamente convenzionali quando non addirittura ridicoli soprattutto nel makeup dei mostri. Ed anche nel versante del gore c’è da rimanere piuttosto delusi perché dopo una sequenza d’apertura tostissima (la migliore del film) ogni sequenza ricalca esattamente quella del suo predecessore in tono minore, poi aggiungendo il tono di scapezza con cui sono girate passano via che quasi neanche ci si accorge (ed anche la chiacchierata scena di stupro che più di una persona è stata giudicata rivoltante è in realtà davvero ridicola). Il film è talmente brutto che il vecchio seguito che girò Craven nel 1985 (e che anch’esso è terribile tanto da essere stato rinnegato dal regista stesso….si vede che il due non gli porta proprio bene) a confronto è un capolavoro di suspance e azione. Le colline hanno gli occhi 2 è quanto di peggio possa tirare fuori il nuovo sottomercato horror e Craven con questo si è definitivamente inciso la sua lapide personale.

di Raffaele Picchio