sabato 28 giugno 2008

L'INCREDIBILE HULK


The Incredible Hulk

USA 2008

REGIA

Louis Leterrier

INTERPRETI

Edward Norton, Liv Tyler, Tim Roth, Tim Blake Nelson

SCENEGGIATURA

Zak Penn, Edward Norton


C’era davvero bisogno di un altro film su Hulk? Soprattutto i dubbi nascono spontanei se già il film precedente poteva dirsi riuscito e se non era poi così vecchio da giustificare sia il restyling del personaggio in versione cool sia l’omissione del numero due nel titolo. Ma si sa i puristi del personaggio avevano disprezzato l’originale regia di Ang Lee del film precedente, modo sublime e irripetibile di concepire i comics al cinema, e l’idea azzardata, forse folle, di trasformare il gigante verde di Stan Lee in una scusa per imbastire una tragedia scespiriana di odio tra padre e figlio entrambi peccatori di hubrìs verso Dio. Qui tutto invece diventa più facile, con le strizzate d’occhio al telefilm (l’incipit e gli occhi di Norton verde fosforescente) e molta più sciatteria verso i personaggi. Se la regia di Leterrier (Transporter e Danny the dog) è ottima sul piano spettacolare (l’inseguimento sui tetti è da cardiopalma) facendo quindi il dovere da bravo shooter travestito da regista, la sceneggiatura è qualcosa di disastroso: fa entrare in scena personaggi per poi o dimenticarseli o abbandonarli senza perché (la ragazza brasiliana dell’inizio, ma anche Mister Blue), svilisce situazioni interessanti come il rapporto tra Betty e Banner/Hulk, ma anche (soprattutto) Betty e il padre militare e, ciliegina sublime, ci regala dei dialoghi così dementi da non crederci, soprattutto nel lungo duello tra i due mostri giganti per le vie della città. L’uso della computer grafica è massiccio e non si fanno poi tanti passi avanti rispetto al già plasticoso Hulk di Ang Lee, oggetto di derisione di tanti spettatori. Per accrescere la mancanza di fantasia di molte situazioni poi è bene notare come il cattivo del film, Abominio, sia persino scandalosamente plagiato dal boss finale di “Resident Evil extiction”. A tratti non è più neanche un film, è un videogame demente che va avanti a furia di cazzotti e fondali demoliti. Gli attori fanno quel che possono dalla sempre terribile e imbolsita Liv Tyler a due attori un tempo ottimi come Norton e Roth, ma qui al minimo sindacale. Si salva solo un grandissimo William Hurt perfettamente calato nei panni dello spietato Generale Ross. Comparsa un po’ più sostanziosa del “solito” Stan Lee, autore del fumetto, questa volta vittima di una bevanda mista tra guarana e sangue ai raggi gamma. Come era lecito aspettarsi un ruolo piccolo, ma gustoso anche per l’ex Hulk Lou Ferrigno. Deludente senza dubbio e un passo indietro rispetto “Iron man”.

di Andrea Lanza

sabato 21 giugno 2008

CHIAMATA SENZA RISPOSTA


One Missed Call

USA 2008

REGIA

Eric Valette

INTERPRETI

Edward Burns, Shannyn Sossamon, Ana Claudia Talancón, Ray Wise

SCENEGGIATURA

Andrew Klavan



Oi oi oi ma che film brutto è questo: un (orrendo) remake di una (ottima) pellicola commerciale del regista più pazzo del pianeta, Takashi Miike. Come altro chiamare un uomo capace di girare opere come “Ichii the killer” o “Gozu”, capaci di mischiare il noir poliziesco con deliri visivi da LSD? Sarebbe dovuto uscire bene nelle premesse questo nuovo “The call” anche perché si trattava di rivisitare in chiave occidentale uno dei film meno miikiani esistenti, quindi materia sicuramente più plasmabile rispetto ai classici del regista, quelli più pazzi, scatenati ed anarchici. Ma il film fallisce comunque miseramente e nel modo peggiore. Eric Vallette è la ragione in primis del disastro: regista francese, famoso nel mondo dei fan del cinema horror per un osceno film apprezzato dai più, “Malefique”, qui alla prova del 9 con un budget di tutto rispetto dimostra tutta la sua scarsità di mestierante senza estro. A nulla serve mettere in ambienti claustrofobici manichini dalle fattezze di cadaveri se già tempo prima l’aveva fatto con diverso spirito Jaume Balagero o affidarsi ad una computer grafica così invasiva nella seconda parte da far scemare anche le buone cose viste nel primo tronco di film. Eppure all’inizio c’era sfiorata l’idea si trattasse di un buon rifacimento, capace di portare in Occidente umori di fantasmi orientali come in passato avevano fatto con ottimi risultato Takashi Shimizu con “The grudge 2” e soprattutto Verbinski con il suo “The ring”. La prima parte, contaminata da “Final destination”, con l’originale idea di animare le visioni delle future vittime del cellulare con morti e larve, è anche la migliore. Poi tutto precipita nel deja vu e se si ha come modello Miike non possono non cascare le braccia quando le scene vengono presentate in maniera tanto sciatta. Per fare un esempio vi prego di riguardarvi la sequenza dell’esorcismo in tv come viene concepita nel modello originale e come invece viene “buttata via” nel remake. Non serve piazzare ogni due per tre un crocefisso per ricordarci che siamo in Occidente se poi l’anima del film è incerta tra mille limbi. Gli attori sono uno più cane dell’altro a cominciare dal sosia di Ben Affleck, Edward Burns, fino alla promessa mancata Sossamon, ora abbonata agli horror di bassa lega (“Catacombs” su tutti). Vallette cerca di citare disastrosamente Argento in più momenti culminando con un patetico omaggio nella fase finale ad “Opera” e ad “Inferno”. Naturalmente senza le musiche adatte dei Goblin o di Emerson. Se proprio ci tenete a vedere “The call” guardate l’originale questo lasciatelo in pasto a qualche povero sventurato che non legge “Cangaceiro” e i nostri consigli.

di Andrea Lanza

domenica 1 giugno 2008

INDIANA JONES E IL REGNO DEL TESCHIO DI CRISTALLO


Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull

USA 2008

REGIA

Steven Spielberg

INTERPRETI

Harrison Ford, Shia LaBeouf,Cate Blanchett

SCENEGGIATURA

David Koepp,George Lucas,Jeff Nathanson

Finalmente dopo tante false partenze, progetti abortiti con i più disparati attori, il mitico Indiana Jones torna per la gioia di grandi e piccini. Oddio non che tutto funzioni al meglio: Harrison Ford è incartapecorito, la regia di Spielberg incolore, le battute che si voglia ironiche sono in realtà patetiche, il ragazzino che dovrebbe prendere le redini future della serie è buono per i forni di Auswitz. Se comunque si evita di fare gli schizzinosi e capire che non siamo più ad un ristorante ma ad una trattoria, ci si può anche divertire. Del resto Indiana Jones è sempre Indiana Jones come la mamma è sempre la mamma, è un amico del quale non puoi fare a meno. Certo che Spielberg e Lucas potevano in dieci anni pensare anche ad una storia migliore che non cadesse nel patetismo fantascientifico fine a se stesso. Il film vive due anime: una farsesco parodistica e una più genuinamente fanciullesca avventurosa. È questa la parte migliore di questo quarto capitolo, quando i convenevoli vanno a farsi benedire e si entra nel vivo dell’azione. Se la prima parte è anche la più monotona , la seconda a base di conquistadores mummificati e teschi di cristallo, di inseguimenti a cavallo di jeep e sabbie mobili voraci, è sicuramente la più vivace. Tra tutte le scene quella più divertente è il lancio del serpente ad un impaurito Dr. Jones. Si annovera nella variegata lista di villain una crudele Kate Blanchet dalla chioma corvina e il fioretto micidiale. Karen Allen invece risulta inspiegabilmente il mistero più appassionante del film: perché il tempo non l’ha cambiata di una virgola? Si spera che la serie finisca qui perché troppo triste e doloroso sarebbe vedere Harrison Ford scappare da geriatria con il pisello in mano a mo di frusta. Nel complesso è un film che se non nascesse con tante aspettative sarebbe sicuramente divertente. Ma come detto Indiana Jones è Indiana Jones e parlarne davvero male è un delitto. Anche se magari se lo merita.

di Andrea Lanza

giovedì 29 maggio 2008

GOMORRA


Gomorra

Italia 2008

REGIA

Matteo Garrone

INTERPRETI

Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo.

SCENEGGIATURA

Matteo Garrone, Nicola Saviano


Di Gomorra si è parlato tanto grazie al libro di Nicola Saviano. Di Matteo Garrone è stato giustamente osannata la capacità di penetrare la realtà italiana, quella più nera, soprattutto nei suoi ultimi due film. Quello che c'è da dire è che l'Italia aveva bisogno di un film che mettesse in gioco una guerra urbana come quella che imperversa a Napoli. Era l'uovo di Colombo, molti sicuramente ci avevano pensato ma Gomorra ha avuto il pregio di poterlo realizzare, grazie all'impatto mediatico del film. La regia doveva essere questa: vera, cruda, incisiva, presente solo in determinati momenti ma assolutamente ermetica a coloro che la Camorra, Il Sistema, lo fanno dal di dentro. Quindi una storia corale alla Amoresperros ma molto meno cinematografica, assolutamente senza necessità di spettacolarizzare ciò che è già di per se spettacolo: la guerra. E' per questo che senza ombra di dubbio siano gli attori presi dalla strada il fulcro del film. Non perchè Servillo o Cantalupo possano recitare di maniera, nè per gli altri attori del film. Perchè è la verità che parla per sè, che grida per se e trasforma un film apparentemente piccolo in un gigante dalla forza inarrestabile. Gomorra lascia poche chiacchiere da dire, Gomorra è un prodotto definitivo, emulabile ma unico. Ed inarrestabile.

di Gianluigi Perrone

IN BRUGES - LA COSCIENZA DELL'ASSASSINO


In Bruges

USA 2008

REGIA

Martin McDonagh

INTERPRETI

Colin Farrell, Ralph Fiennes, Brendan Gleeson e Clémence Poésy

SCENEGGIATURA

Martin McDonagh


Che cosa è “In Bruges”? Un noir, un post-Tarantino o un post-Coen, o magari un film cartolina per la splendida città belga (che dopo aver visto nel film nessuno potrà negare la volontà di andarci un giorno). Forse, e dico forse, la classificazione è fatta per le menti poco aperte, e il regista McDonagh (premio Oscar per un corto sempre con Gleeson) di certo non è il tipo di persona che pensa di attraccarsi ad un genere solo. Li usa a seconda delle situazioni, quasi a violentare le stesse regole del genere. Prima di tutto c’è Bruges (o come appella il protagonista: questa cazzo di Bruges), luogo fatato scelto dal boss (un indiavolato Ralph Fiennes) per l’esilio/vacanza di due killer dopo un lavoro andato a male. Luogo dove i protagonisti verranno a contatto con i tipi più strani della città aspettando con ansia i tanto attesi ordini del boss. Bruges è un luogo purificatore, ma maledetto, che apre le menti ma azzera la voglio di vivere. Un luogo giusto per mettere in atto una carneficina da tragedia greca. Una città che con le sue “opere” e il suo modo di vivere diventa lo specchio della storia da raccontare. Dall’altra parte poi ci sono le soluzione narrative che non sempre sembrano azzeccate: gli espedienti sono troppi e certi personaggi sembrano funzionali solo in quanto prima o dopo verranno usati per far incastrare qualche momento fondamentale delle storia; problemi di uno script bello nei dialoghi (sia umoristici che seri) ma poco interessato a costruirci sopra una storia che stia in piedi. Niente di così grave perché alla fine i conti, anche se forzati, tornano e in fondo “In Bruges” è un film che vive di situazione che passano da una critica all’intellettualismo fine a se stesso tipico dall’Europa a un bisogno umanitario di confronto con altre tipi di culture (che poi è il punto cardine del tema del viaggio). Insomma McDonagh aggira la storia, per dire quello che vuole e come lo vuole. Assurdo infatti, tanto per fare un esempio, che un film per palati fini come questo non lesini di mostrare dettagli “gore” quasi fosse l’ultimo dei Turtured movie. “In Bruges” è l’apoteosi di come non si dovrebbe costruire un film ma è anche il film che aspettavamo da tanto tempo. Se poi ci regala un trio di interpretazioni di alto livello e almeno due scene da tramandare alla storia del cinema non può che farci piacere.

di Daniele Pellegrini

RESERVATION ROAD


Reservation road

USA 2007

REGIA

Terry George

INTERPRETI

Joaquin Phoenix, Mark Ruffalo, Jennifer Connelly

SCENEGGIATURA

Terry George, John Burnham Schwartz


Ethan Learner (Joaquin Phoenix) è un professore di una piccola comunità americana. Felicemente sposato con Grace (Jennifer Connelly) e con due figli a carico cambia prospettiva di vita quando Dwight (Mark Ruffalo), un avvocato, investe suo figlio uccidendolo sulla Reservation Road per poi scappare impaurito dalle conseguenze. Film drammatico, forse troppo, questo Reservation Road, seconda opera di Terry George dopo il successo mondiale di Hotel Rwanda. La trama richiama immediatamente al cinema di Iñárritu di cui però Reservation Road a poco a cui spartire, tranne un certo gusto nell’ unire i personaggi a forza. Invece il film di George assomiglia particolarmente al cinema di Todd Field specialmente per il modo di farci entrare con occhio delle telecamera nel nucleo familiare: facendoci assaporare con metodo quasi scientifico il dramma di madri, padri e figli. Ma George non è Field e il suo film rimane in superficie. Certo non gli si chiede di avere la stessa potenza narrativa di “In the bedroom” ma provare a tirare fuori qualcosa che esuli dall’elementare connubio di “Tragedia-Dolore” non era una richiesta così grande. La storia non è in fondo credibile nel suo svolgimento e i personaggi più che veri simboli delle debolezze umane sono per lo più delle figurine con la lacrima pronta. Neanche quella sottotrama di clone del “Giustiziere della notte”, che lo poteva rendere speciale, riesce ad completarsi, in quanto il regista non ha coraggio di affondare. Insomma dire che il film è deboluccio pare quasi un complimento per un lacrima movie che non emoziona, non fa pensare ma soprattutto non riesce neanche ad completarsi nell’inspiegabile finale (la spiegazione c’è invece, ma la spartizione di dolore per il sottoscritto non è materiale da analizzare, e in fondo è troppo facile finirla così). C’è però qualcosa di “buono” in questo Reservation road: una critica a tutte le associazione per la difesa dei diritti civili (in questo caso contro i pirati della strada) rei di allontanare dalla realtà familiare le stesse vittime. Non so se è giusto criticarle, ma per lo meno nel film c’è qualcosa che non richiama direttamente ad altre pellicole. Il resto purtroppo è la solita solfa privata di emozioni. Difficile pure parlare del cast; fanno tutti il loro lavoro, ma emergere da tanto piattume era difficile. Evitabile

di Daniele Pellegrini

21


Rise

USA 2008

REGIA

Robert Luketic

INTERPRETI

Jim Sturgess, Kate Bosworth, Laurence Fishburne, Kevin Spacey, Aaron Yoo, Liza Lapira, Jacob Pitts, Josh Gad

SCENEGGIATURA

Allan Loeb e Peter Steinfeld

21 vittoria grande baldoria” è la frase che continua ad echeggiare nella testa di un giovane matematico aspirante medico. La sente nei tavoli da black jack quando esce la combinazione massima, la più aspirata dai giocatori, il 21 che permette di vincere le cifre più vertiginose. A portarlo là è un professore che ha formato una vera e propria squadra di maestri del gioco d’azzardo, ragazzi che hanno usato la matematica per diventare ricchi ai tavoli da gioco. Il ragazzo è un puro, ma come sempre capita i troppi soldi lo allontaneranno dai sogni più aurei come la tanta agognata laurea in medicina ad Harvard. Poi un brutto giorno qualcuno scopre il loro sistema per fregare i casinò e cominciano i guai… “21” è un film semplice, più di confezione che di sostanza, una pellicola come tante che magari appassiona, diverte per la sua durata, ma che poi dimentichi facilmente. A tratti sembra di assistere ad un film uscito fuori dritto dritto dagli anni 80, solo che al posto di un Tom Cruise d’annata abbiamo un anonimo Jim Sturgess, un volto carino quanto si vuole, ma completamente anonimo. Un po’ come la regia di Robert Luketic, al suo attivo di famoso (o quasi) solo “La rivincita delle bionde”, che va avanti a musiche fighette ad alto volume, fotografia da Cosmpolitan e poco altro. Meglio va con le guest star: Kevin Spacey e Laurence Fishburne sono perfetti nei lorio ruoli di villain agli antipodi. La sceneggiatura, pur se citazionista (si parla di “Rain man”), non presenta grandi colpi d’ala e anche le svolte che si vorrebbero inaspettate sono per lo più prevedibili. Kate Bosword in versione bionda (la si conosceva con la chioma scura come novella Lois Lane nell’ultimo Superman) però è da eiaculazione immediata. Una delle cose davvero notevoli della pellicola. Niente di nuovo sotto il sole placido: siete avvertiti.
di Andrea Lanza