giovedì 22 novembre 2007

THE MATADOR


The Matador

USA, Germania, Irlanda 2005

REGIA

Richard Shepard

INTERPRETI

Pierce Brosnan, Greg Kinnear, Hope Davis, Philip Baker Hall, Adam Scott, Dylan Baker.

SCENEGGIATURA

Richard Shepard

Cosa implica nella carriera di un attore interpretare una incona come James Bond? Se lo si chiedesse a Pierce Brosnam probabilmente parlerebbe di pro e contro. E' chiaro che si entra instantaneamente nella storia del cinema ma contemporaneamente la propria faccia diventa indissolubilmente legata a quella dello 007 più sexy che sia a servizio di sua maestà. Un prezzo da pagare per una popolarità del genere. Il problema arriva dopo. Come essere credibili per altri ruoli? Daniel Craig lo sta facendo alternando altri lavori completamente diversi, finchè gli permettono di farlo, Brosnam tenta il tutto per tutto. Ed ecco l'ironico The Matador, una commedia molto poco corretta che vede Brosnam in un ruolo non molto dissimile da quello di Bond ma diametralmente opposto. Infatti la vita di Julian Noble è parimenti straordinaria a quella dell'agente segreto ma caratterialmente ne è agli antipodi. Infatti Noble, nonostante il nome, è un rozzo,alcolizzato,tabagista, sboccaso, sessuomane killer professionista. Naturalmente l'ironia della scelta del ruolo è evidente e l'attore pare incredibilmente divertito nella parte del laido assassino. Richard Shepard ci racconta di un momento di evidente depressione del personaggio che, privo di qualsiasi stimolo di vita, si rende conto di aver fatto terra bruciata intorno a sé. Solo, il giorno del suo compleanno, tenta un approccio con un perfetto sconosciuto,Danny Wright (Greg Kinnear),un integerrimo e mite uomo d'affari in difficoltà, che come Noble è a Città del Messico per lavoro. Noble si attacca morbosamente al suo nuovo amico e parte il classico buddy movie, che però si avvale di una sceneggiatura e dei dialoghi talmente accattivanti da essere difficilmente inefficaci. Richard Shepard gira con una regia pomposa e presente, su scenografie coloratissime e appariscenti, trasformando il film in un divertente fumetto che perde di ritmo nella seconda parte ma è assolutamente delizioso per la maggio parte della sua durata.

di Gianluigi Perrone

mercoledì 21 novembre 2007

LA LEGGENDA DI BEOWULF


Beowulf

USA 2007

REGIA

Robert Zemeckis

INTERPRETI

Ray Winstone, Brendan Gleeson, Angelina Jolie, Anthony Hopkins, Robin Wright Penn, Crispin Glover e Alison Lohman

SCENEGGIATURA

Neil Gaiman e Roger Avary

Accidenti a Zemeckis e alle sue idiozie. E dato che ci sono accidenti anche alla Motion capture, all’ IMAX 3D e a tutte le altre stronzate. Il senso è zero. Beowulf è un buffo cartoon plasticoso fatto con gli scarti di produzione di Shrek. Eppure Zemeckis era un grande innovatore, uno che vent’anni fa aveva fatto il grande salto verso la tecnologia di interazione tra personaggi veri e animati. Insomma non è l’ultimo arrivato che si ciba di tecnologia per evitare carenze tecniche. Quindi immagino che The Polar Express non bastasse come esempio e si doveva ripetere l’errore. La tecnologia si sarà evoluta dall’epoca? Purtroppo non è cambiato molto. Stiamo ancora qui a commentare gli stessi errori; scarsa impressionabilità, movenze irreali, distacco visivo tra i protagonisti e le controfigure e quant’altro. La logica e un pochino di moralità vieterebbero di chiamare a recitare uno come Anthony Hopkins e trasformarlo in un pupazzone: specialmente per uno che ha basato tutto il suo lavoro sulla presenza scenica. Quindi preso atto che la tecnica non funziona o perlomeno è ancora troppo primordiale per impressionare davvero, sorge una domanda; ma era necessario utilizzare questa tecnologia per raccontare Beowulf? Sicuramente non era necessario. Di sicuro un poema come Beowulf non necessitava di un trattamento del genere, al massimo poteva renderlo più accattivante (perché è bene ricordarlo: il poema di Beowulf è una palla mostruosa) alle nuove generazioni che magari in un contesto più classico avrebbero evitato di andare a vedere le gesta del Re caccia mostri per eccellenza. Lo scopo è chiaro; Beowulf deve essere un prodotto di intrattenimento e il difficile lavoro di rilettura viene messo nelle mani di un duo magnifico di sceneggiatori: Gaiman e Avary. Lo scopo del loro lavoro; riuscire a racchiudere in massimo due ore di film le lunghissime gesta dell’eroe, senza però dimenticare che deve essere un film per tutta la famiglia. Il problema è che non si può avere tutto dalla vita. Ci sarebbero volute 5 ore per raccontare bene la storia; il film non dura neanche 2 ore e il risultato è una penosa narrazione didascalica che infila momenti epici (naturalmente deve essere serio) e momenti più o meno umoristici (deve pur piacere a un pubblico che ha al massimo 10 anni). Insomma un bel pastrocchio. Per fare un esempio; nella scena madre dove Beowulf combatte nudo contro Grendel, per evitare di mostrare i genitali del guerriero la regia usa trucchetti come mettere un bottiglia davanti o un spada manco fossimo in un film di Zucker. Di bello c’è la realizzazione di Grendel fatta a computer (e lì sì che serve il computer) e un bellissima Angelina Jolie (anche lì serviva il computer, perché negli ultimi tempi pure la sua bellezza, oltre che la carriera, si sta disciogliendo). Insomma in definitiva, nulla di nuovo sotto il sole. Mi viene solo da piangere al pensiero che non c’è due senza tre. BRRRR

di Daniele Pellegrini

lunedì 19 novembre 2007

IL NASCONDIGLIO


Il Nascondiglio

Italia 2007

REGIA

Pupi Avati

INTERPRETI

Laura Morante, Burt Young, Giovanni Lombardo Radice,Venantino Venantini


SCENEGGIATURA

Pupi Avati



Pupi, il cuore è altrove.
Che l’horror sia tornato di gran moda e che sia quasi sempre sinonimo di incassi vertiginosi non è una novità; che altrettanto spesso questo successo di pubblico non sia legato ad una qualità che giustifichi tanto clamore massmediatico, neppure. Così, i tantissimi nostalgici del cinema del terrore che l’Italia sapeva regalare qualche decennio or sono, avevano accolto la notizia del ritorno di Pupi Avati nei territori che dominò prima con La casa dalle finestre che ridono poi con Zeder con giustificato entusiasmo, dimenticando, o forse fingendo di farlo, gli ultimi, neanche così tanti per la verità, passi falsi del regista romagnolo.
Per questo più volte sognato ‘revival orrorifico’ il nostro si trasferisce negli Usa, mettendo in scena una personale rivisitazione del filone ‘case infestate’, dotando il film di un prologo ambientato a metà del ‘900 che è forse la parte più riuscita dell’intera pellicola. Il ritorno ai giorni nostri, che è la conseguenza inevitabile di quello che fu nell’antefatto, non mantiene le promesse che sembrava aver fatto l’atmosfera gotica dei quindici minuti iniziali. Il film sembra con il passare del tempo prendere più la forma del legal-thriller, del cosiddetto ‘giallo di ricerca’ piuttosto che quella che tutti i fan del vecchio Avati auspicavano: le malsane atmosfere che caratterizzavano i precedenti horror del regista sono ridotte alle voci off che infestano la casa, la voglia di angosciare delle pellicole precedenti e che ben si può sintetizzare in quei beffardi sorrisi della casa titolare di quello che forse è il film simbolo del Pupi gotico sembra essere sparita in luogo di un ben più facile compitino. Una pellicola dalla scrittura lineare, sicuramente senza particolari scossoni che potrebbero far deragliare il film, ma anche senza la voglia di osare che era lecito aspettarci. Uno strano ibrido tra nostalgia per quello che si è fatto e paura di tornare ad esagerare, un continuo vorrei ma non posso (o non voglio) esplicitato anche dalla scelta del cast: perchè la presenza di Giovanni Lombardo Radice e di Venantino Venantini sono la prova evidente che la voglia di rimanere attaccato alle origini, al genere, non sia mancata nelle intenzioni, ma la presenza di Laura Morante sembra il paracadute di chi teme di aver puntato troppo in alto.
Rimane così un discreto thriller che sembra più strizzare l’occhio più alla nuova scuola spagnola che alla vecchia guardia italiana: un film asettico nella sua deprecabile perfezione, una macchina che funziona ma che, nonostante qualche momento mirabile (torna l’ossessione del regista per le vecchie maniache), non riesce a consacrarsi come il ritorno di Pupi Avati, quello totale, completo, con la mente ma soprattutto con il cuore.

di Michelangelo Pasini

giovedì 15 novembre 2007

MILANO - PALERMO: IL RITORNO


Milano Palermo - Il ritorno

Italia 2007

REGIA

Claudio Fragasso

INTERPRETI

Giancarlo Giannini, Raoul Bova, Ricky Memphis, Simone Corrente


SCENEGGIATURA

Rossella Drudi


E' importante chiarire che l'esistenza di una cinematografia sana si basa sul cinema popolare, il cinema di genere e l'entertaiment. Non sempre quello che vuole il pubblico è quello che funziona veramente,anzi raramente ma privare il cinema di un certo tipo di identità è quantomeno dannoso. Ecco perchè Milano Palermo Il Ritorno è un film essenziale per il cinema italiano, tanto quanto lo è stato Arrivederci Amore Ciao di Michele Soavi(che non a caso fa un cameo nel film). Tant'è. Fragasso fa ancora una volta un film internazionale, con un cast tutto italiano ma veramente notevole,massiccio e funzionale. Tralasciando i soliti noti (Loverso,Giannini,Bova)sono i coprimari a fare il lavoro migliore. Libero DeRienzo, il sempre romanissimo e tosto Ricky Memphis,SImone Corrente vestito da Wolverine e i giovanissimi attori del film. La storia non val manco la pena raccontarla, ed in effetti nonostante una scrittura funzionale e alcune scene azzeccate il plot è volutamente banale e a volte fine a sé stesso per avere un respiro quanto più commerciale possibile. Il risultato è una elegia del genere attraverso l'azione ma anche il western che Fragasso cita a piene mani, in maniera veramente sapiente ed inaspettata. Sparatorie complesse in stile hongkonghese, una regia piena ed intensa, tutto sommato senza esagerare il film intrattiene ed emoziona anche se non centra ogni momento nel complesso a causa di un plot che non tiene abbastanza. Aria fresca per il cinema italiano,comunque e sempre.

di Gianluigi Perrone

I GUARDIANI DEL GIORNO


Daywatch/Dnevnoy dozor

Russia 2006

REGIA

Timur Bekmambetov

INTERPRETI

Vladimir Menshov,Valery Zolotukhin,Rimma Markova,Galina Tyunina,Victor Verzhbitsky,Aleksei Chadov,Konstantin Khabensky


SCENEGGIATURA

Timur Bekmambetov e Sergei Lukyanenko

Tibur Bekmambetov torna ancora con la saga di Nightwatch di Lukyanenko, grandissimo successo in patria e chiave di svolta per l'industria cinematografica russa. Questo secondo capitolo pare essere ancora più denso di azione del precedente. Quello che colpiva del primo capitolo era la maniera assolutamente cafona ma efficace con cui Bekmambetov utilizzava tutti gli espedienti visivi più di impatto, scene d'azione oltre l'immaginabile, bullet time e ralenti a manetta e l'epitome dell'esagerazione. Nel secondo arriviamo ad affrontare i grattacieli e il mito dei guardiani della forze del bene e del male si evolve in direzione verticale. Per fortuna la produzione russa ha capito di non doversi fossilizzare sul modello originale. Daywatch infatto è scritto molto meglio del precedente, la storia è decisamente più complessa e densa di svolte narrative e colpi di scena. Lo stesso protagonista,Anton, si produce in performance complesse e grottesche, approfondendo notevolmente il personaggio. Per adesso il futuro del cinema russo è legato esclusivamente a Bekmambetov e dopotutto ai fuochi d'artificio, ma se dovesse far scuola abbiamo una scena notevole da cui attingere.

di Gianluigi Perrone

TIDELAND - IL MONDO CAPOVOLTO


Tideland

USA 2006

REGIA

Gregory Hoblit

INTERPRETI

Jeff Bridges, Jodelle Ferland, Janet McTeer, Brendan Fletcher


SCENEGGIATURA

Tony Grisoni e Terry Gilliam

L'interpretazione di Terry Gilliam del durissimo romanzo di Mitch Cullin è decisamente uno dei lavori più controversi degli ultimi anni. Da una parte lo stile di Gilliam è evidente, assolutamente riconducibile ai lavori precedenti del regista, Paura e Delirio a Las Vegas e La Leggenda del Re Pescatore soprattutto. Dall'altra è un film incredibilmente disperato e acre che quasi cozza con lo stile irreale del regista. Infatti se la storia della piccola Jeliza Rose, figlia di due tossici diretti in overdose,abbandonata nelle mani del popolo che vive ai margini nel mondo visto coi suoi occhi di novella Alice (Carroll è l'ispirazione principale del romanzo), è estremamente crudele e non può che riempire lo spettatore di un surreale,poetico disagio, non è escluso che sia proprio la regia di Gilliam a edulcorare minimamente un testo estremamente nero. Nonostante il film sia incredibilmente forte ed efficace, probabilmente grazie anche a ottimi interpreti, un Jeff Bridges hyperdude ed una Janet McTeer a la Carl McCoy ma soprattutto al "fenomeno" Jodelle Ferland, questo piccolo gioiello di schizofrenia, non riusciamo a immaginare quanto sarebbe stato duro il suo approccio in mano ad un Armony Corine o a Gregg Araki. Ma quello che sarebbe potuto essere non ha senso, visto che comunque l'interpretazione del testo di Gilliam è comunque delicatamente perversa e orbita intorno a necrofilia e pedofilia senza però addentrarvici troppo. Tideland potrà avere dei difetti(alcune lungaggini ad esempio) ma va visto con la parte giusta del cervello e con sufficiente apertura mentale da accettare la bellezza dell'abiezione e dell'orrore di vita , come era comunque Henry di McNaughton, ma trascendendo il genere o idealmente abbracciandoli tutti. A suo modo unico.

di Gianluigi Perrone

sabato 10 novembre 2007

IL CASO THOMAS CRAWFORD


Fracture

USA 2007

REGIA

Gregory Hoblit

INTERPRETI

Anthony Hopkins, Ryan Gosling, David Strathairne e Rosamund Pike


SCENEGGIATURA

Daniel Pyne e Glenn Gers

Un ingegnere aeronautico (Anthony Hopkins) uccide la moglie creando un delitto perfetto. La pratica dell’accusa viene affidata a Willy Beachum (Ryan Gosling), giovane e rampante avvocato che è un procinto di lasciare la procura distrettuale per entrare in uno studio privato. Però quello che doveva essere un processo lampo si trasforma in un gioco al gatto ed al topo.
Ennesima delusione di Gregory Hoblit, che dopo un paio di buoni film all’inizio è scivolato in un abisso di prove mediocri da cui sembra non volere uscire. Fracture è un innocuo esempio stilistico di duello tra due personaggi; Hopkins rifà Hannibal Lecter, mentre il bravo Gosling ritira fuori tutto (o quasi) il suo bagaglio di ragazzino duro. Un duello dialettico dove i due si fronteggiano a colpi di lunghissimi dialoghi che allungano a dismisura la pellicola. Insomma un thriller di poca cosa questo Fracture che cerca eloquentemente di fare solo due cose: incastrare quà e là qualche pezzo del puzzle e far giocherellare il più possibile i protagonisti. C’e pure un timido accenno critico ad un sistema legislativo, ma è troppo poco messo in risalto per essere il tema portante; un vero peccato perché ad un certo punto poteva prendere questa strada e il film ne avrebbe di sicuro guadagnato. Insomma un'altra grande occasione persa per questo Hoblit che infila per lo meno una buona dose di inquadrature azzeccate e ci da prova di un’ innata capacità di saper dirigere gli attori. Se solo lo script fosse stato meglio.

di Daniele Pellegrini

mercoledì 7 novembre 2007

THE BOURNE ULTIMATUM


The Bourne Ultimatum

USA 2007

REGIA

Paul Greengrass

INTERPRETI

Matt Damon, David Strathairn, Joan Allen, Albert Finney, Paddy Considine, Scott Glenn e Julia Stiles

SCENEGGIATURA

Tony Gilroy e Scott Z. Burns

Capitolo finale della trilogia sull’ agente segreto smemorato più famoso del cinema (se ampliamo il campo ci sarebbe XIII a cui forse Robert Ludlum avrebbe dovuto qualcosa). Caso strano in questo senso è il sottotitolo italiano di smithiana memoria: Il ritorno dello sciacallo. Chi non ricorda il dibattito sulle trilogie in Clerks 2 tra “Il ritorno dello Jedi” e “Il ritorno del Re” (che a dir la verità fanno pena tutte e due). Ecco per una volta i distributori italiani danno un idea di quello che è e che sarà per sempre la saga di Jason Bourne: il miglior esempio degli ultimi anni di un trilogia fatta con coerenza e passione. Detto questo c’è da dire che lo sciacallo (mi viene in mente solo il film di Zinnemann) lo avranno visto solo i distributori italiani. Ok, estrapolazione del cavolo, passiamo al film. La regia viene di nuovo affidata all’istrione con tendenze al Parkinson (con tutto il rispetto possibile per la malattia) di nome Paul Greengrass, già autore del notevole secondo capitolo e di altri buoni prodotti più o meno politici (in realtà lui è un regista di cronaca). Difatti per la prima volta la saga cerca di fare politica. Ed ecco spuntare come per magia il termine “omicidio preventivo da parte di agenzie segrete”. Cose brutali che ormai non sono più ipotesi di complotto, ma cronaca. Quella cronaca scritta su un trafiletto di qualche giornale (naturalmente non italiano, non si sa mai). Ecco un altro caratteristica di questo ultimo capitolo: il giornalismo. Per la prima volta nella saga la storia di Bourne esce dai corridoi dei palazzi dei servizi segreti e si affaccia al mondo reale sulle pagine di un giornale. Ed è strano che poi sia proprio da lì che parta la caccia a Jason Bourne; le grandi teste possono accettare spie e contro spie, giochi di potere e quant’altro ma non possono far sapere al mondo quello che sta succedendo; cioè “omicidio preventivo da parte di agenzie segrete” di cui lo stesso Bourne ne è l’essenza. Tutto torna insomma come gli svariati inseguimenti e lotte, marchio di fabbrica della saga. Da Mosca a Tangeri, da Madrid a New York ci sarà sempre da menare o da spingere a tavoletta l’auto (o la moto. la grande novità) in inverosimili inseguimenti. Inutile dire che anche questa volta questi non tradiscono l’attesa ma se vogliamo proprio mettere i puntini sulle “i” non aggiungono molto a quelli che avevamo già visto nei primi due capitoli. Associamo poì un finale semplice che riesce a concludere la saga con intelligenza e convinzione e avrete un idea di che cosa è la saga di Bourne. Un plauso al responsabile del casting per la scelta dei comprimari; dal primo capitolo si sono affacciati gente del calibro di Chris Cooper, Clive Owen, Franka Potente, Karl Urban, Joan Allen, Brian Cox, David Strathairn, Scott Glenn, Paddy Considine e Albert Finney, aggiunti al fatto che Matt Damon in tutta la saga parla pochissimo; è un altro valore aggiunto in più da accreditare alla saga.

di Daniele Pellegrini

domenica 4 novembre 2007

QUEL TRENO PER YUMA


3:10 To Yuma

UK 2007

REGIA

James Mangold

INTERPRETI

Christian Bale, Ben Foster, Russell Crowe, Alan Tudyk, Vinessa Shaw, Peter Fonda, Gretchen Mol, Kevin Durand

SCENEGGIATURA

Halsted Welles, Michael Brandt, Derek Haas

Più che un remake, questo di James Mangold è una rivisitazione blockbuster del racconto di Elmore Leonard che dopotutto era l'elemento più forte del film. Mangold non è incapace, i problemi dei suoi film sono semplicemente una mentalità che dà più peso ad elementi che tendono a annacquare un vino che altrimenti può inebriare. Vedasi l'impronunciabile biopic su Johnny Cash. In 3:10 To Yuma in fin dei conti ci sono elementi positivi ed altri negativi. Non era difficile dare forza alla esperienza di convivenza forzata tra il feroce bandito Ben Wade ed l'umile contadino Dan Evans quando hai come interpreti Russell Crowe e Christian Bale. Ed infatti i due personaggi giganteggiano,le frasi rimbombano nelle loro bocche e rapiscono troppo la scena per biasimare le inspiegabili lungaggini che vessano sul corpo centrale del film. In effetti il film è assurdamente lungo e non tiene conto della suspance che teneva l'originale, trasformando il film in una epica storia d'onore tra due personaggi fortissimi. Eppure quello che era sulla carta era altro. E infatti è nel finale(cambiato per l'occasione) che il film prende quota e ritmo,complice una ritmo tamburellante ed una regia nerboruta. Mangold ha fatto quello che spesso tentano di fare i registi che oggi(raramente) tentano di riportare in auge il western: guardano un sacco di vecchi film del genere trovando maggiormente interessanti gli spaghetti western e quindi ne aggiungono gli elementi nel film. Se il film originale era uno western di regia grossomodo classica con qualche elemento differente dal solito, il suo remake è un western sensazionalista e fracassone che prende regia e molte trovate dalla tradizione italiana. Il film alla fine funziona perchè gli elementi sono professionali, attori di personalità (compreso un Ben Foster in stato di grazia)e dopotutto rispetto per il modello originale.

di Gianluigi Perrone

STARDUST


Stardust

UK 2007

REGIA

Matthew Vaughn

INTERPRETI

Charlie Cox, Sienna Miller, Peter O'Toole, Mark Strong, Jason Flemyng, Michelle Pfeiffer, Robert De Niro e Claire Danes

SCENEGGIATURA

Jane Goldman e Matthew Vaughn

Che il fantasy sia di moda è un dato di fatto; a pochi anni dal portentoso successo del Signore degli anelli già si può fare un piccolo bilancio sull’ enorme quantità di pellicole ambientate in mondi fantastici e magici. Tralasciando l’adolescenziale Harry Potter che fa gioco a se, purtroppo il genere sembrava ancorarsi a prodotti più o meno innocui; film che generavano scarso interesse se non avevi meno di dieci anni. Serviva un po’ di maturità nel genere; e dove trovarla se non in Neil Gaiman vero cantore del new fantasy letterario. Matthew Vaughn, già produttore di Ritchie e nonché regista del bellissimo Layer Cake (da noi uscito con il titolo di Pusher), deve aver capito subito il potenziale di tale operazione. Un Gaiman trasportato al cinema con parecchi soldi di budget è un autentica miniera d’oro. Peccato che scelga di fare il romanzo più deliziosamente classico dello scrittore. Stardust alla fine non è altro che un fantasy vecchio stile ringiovanito dagli effetti speciale che cerca di ricalcare le orme degli ormai classici La storia fantastica e Willow. Il rischio è di cadere in un restyling ridicolo; per fortuna gli riesce quasi tutto. Come avevo detto le basi sono classiche; Vaughn si preoccupa principalmente di creare una storia che sia più il veloce possibile. Non gli interessano per fortuna le piccole sfumature o le grandi scene epiche. In Stardust c’è la storia (una cometa caduta o l’eredità del Re) e grandi e piccoli personaggi che interagiscono con essa nel modo più semplice e divertente possibile. Prendete il capitano Shakespears, interpretato finalmente da un ottimo DeNiro; un pirata che nasconde alla ciurma il suo essere gay. Un personaggio talmente goliardico che pure la sua breve apparizione sarà elettrizzante. O i fantasmi dei potenziali re uccisi, che seguono le vicende da spettatori non paganti. In poche parole Stardust è un opera essenziale e divertente che di certo non deluderà gli spettatori di qualsiasi età. C’è solo un pò di malinconia nel vedere anni fa la trasposizione di MirrorMask in versione low “Tiratissimo” budget e l’incubo di non vedere mai un film su Sandman o American Gods. Speriamo solo che questo Stardust abbia aperto la coscienza dei produttori.

di Daniele Pellegrini

INVASION


Invasion

USA 2007

REGIA

Oliver Hirschbiegel e James McTeigue

INTERPRETI

Nicole Kidman, Daniel Craig, Jeremy Northam, Jeffrey Wright

SCENEGGIATURA

David Kajganich

A quanto stiamo? Al terzo rifacimento. E pensare che ero pure ben accetto da l'idea di una rimodernizzazione dell'invasione degli ultracorpi di Don Siegel. In fin dei conti, come nel primo, anche Kaufman e Ferrara avevano usato il racconto di Jack Finney come specchio delle paure dell'epoca. Insomma visto come siamo messi c'è materiale per ricamarci sopra. Eppure c'è qualcosa che non quadra nella versione di Oliver Hirschbiegel (sostituito nel finale da McTeigue). Un male che affligge molti film del nuovo millennio; la spiegazione scientifica. La paura in cambio di paroloni come cellula, micro-organismi e DNA. Un baratto difficile da accettare per chi si aspetta un film con un minimo di tensione. Non sarò io a dare lezioni di cinema a chi lo fa di mestiere; ma è l'ignoto che fa paura. Il risultato di questa decisione può portare solo a un film noioso, presuntuoso e senza la consapevolezza di come finirlo. Eppure da salvare c'è la protagonista (Nicole Kidman), spaesata spettatrice di una carneficina. Tutti si chiedono perché o per cosa mentre a lei interessa solo di salvare suo figlio. Agisce per un istinto naturale; la cara e vecchia sopravvivenza. Risulterà in fin dei conti l'unico personaggio vero e interessante di un film sterile e scritto male (chiedete al povero Daniel Craig, a lui le battute peggiori del film). Avevo detto prima che il film non aveva la consapevolezza di come finire. Almeno questa è la sensazione dopo un'oretta di film. Il risultato è ancora peggio. Un bieco tentativo di trasformare un film noioso ma pure sempre intelligente in teatrino mal riuscito per l'intrattenimento. Un distacco enorme che fa scivolare il film in un inverosimile happy end. Quindi senza fare le dovute differenze con il finale strepitoso dell'invasione degli ultracorpi di Kaufman (da noi uscito con il titolo Terrore dallo spazio profondo) mi piacerebbe giudicare il film con il materiale scartato da McTeigue. Solo così si può dare un giudizio obiettivo di Invasion. Perchè per quello che ho visto è pessimo e la maggior parte delle colpe vanno distribuite negli ultimi minuti del film. Il resto poteva essere interessante. Giudizio in sospeso quindi.

di Daniele Pellegrini

sabato 3 novembre 2007

LA TERZA MADRE



La Terza Madre

ITA 2007

REGIA

Dario Argento

INTERPRETI

Asia Argento, Udo Kier, Robert Madison, Clive Riche, Coralina Cataldi Tassoni, Moran Atias, Tommaso Banfi

SCENEGGIATURA

Dario Argento, Jace Anderson , Walter Fasano, Adam Gierasch, Simona Simonetti

Allora siamo tutti d'accordo che Dario ultimamente(un paio di lustri) non è al suo massimo. Però almeno a livello visivo i Masters of Horror lasciavanop presagire che ci fosse un po' più di coscienza del mezzo cinematografico rispetto a disastri come Ti Piace Hitchcok o Il Cartaio. Bene, era presumibile che per La Terza Madre, terzo film della serie dopo due film veramente belli come Suspiria e Inferno, ci fosse un po' più di cura stilistica per cercare di non fare brutta figura. D'altronde è un film attesissimo. Ebbene niente! Anzi peggio del peggio. Sì perchè sinceramente Non Ho Sonno o Il Cartaio, con tutti i difetti di sceneggiatura che potevano avere, non arrivano al nulla de La Trza Madre. Il film non parla di niente, c'è semplicemente Asia Argento che corre inseguita da qualcosa di mostruoso. Sembra che abbiano girato solo scene di omicidio quanto più cafonemente violente possibile senza metterci quelle di raccordo. Non si riesce a capire come sia possibile fare un lavoro tanto pessimo. Nemmeno nel peggior amatoriale si incappa in scivoloni del genere. A parte le musiche di Simonetti, che sono belle, con la canzone cantata da Dani dei Cradle of Filth, non c'è niente altro che si salvi. Niente. Addirittura incomprensibile come possano aver ridotto così il trucco, che non rivela un minimo di capacità. Spingono su gore e sesso manco stessimo parlando dell'ultimo film tedesco prodotto a zero budget, la Moran Atias compare giusto per mostrare il pelo. Non si riesce veramente a crederci a quanto sia banale la trama. Non c'è molto da dire se non che il film semplicemente non c'è.

di Gianluigi Perrone