domenica 24 febbraio 2008

NON E' UN PAESE PER VECCHI


No Country for Old Men

USA 2008

REGIA

Joel & Ethan Coen

INTERPRETI

Javier Bardem, Josh Brolin, Tommy Lee Jones, Woody Harrelson

SCENEGGIATURA

Joel & Ethan Coen, Cormac McCarthy

Ha creato un'attesa degna delle grandi opere il nuovo Coen e, diciamolo subito, il migliore dopo tanti colpi non propriamente ben assestati. I due fratelli comunque hanno ormai l'esperienza e lo status di sapere che basta guardarsi alle spalle per poter tirare fuori qualcosa di buono. Ecco quindi che sulla basa del romanzo di Cormac McCarthy sfruttano il genere per creare un'opera oscura e pessimista, un noir western che conquista , se non altro per la messa in scena. La storia è cruda e semplice, sembra quasi Voglio La Testa di Garcia, con un disperato fuori luogo che vince la lotteria più rischiosa di questo mondo, ruba alla criminalità, e cerca una via di scampo con alle spalle gente di pasta troppo dura che rivuole il maltolto. Con Peckinpah, I coen condividono anche una visione grigia e disperata, che rimane atterrita difronte all'amoralità dell'esistenza e della specie umana. Ottimi interpreti in personaggi perfettamente distribuiti che realizzano questa amara realtà ogniuno nella propria maniera. Tommy Lee Jones come lo sceriffo anziano, spettatore di eventi atroci che riconosce abominevoli finchè non gli fanno notare che la terra ha girato sempre così ed è lui che ne ha le tasche piene. Josh Brolin, l'"Alfredo Garcia" della situazione, che cerca di sparire con il malloppo senza capire che la gazzella non ruba mai la preda al leone. Il personaggio per cui verrà ricordato questo film però è Chigurh, uno spettrale Javier Bardem, che rappresenta il male oscuro del mondo, uno dei killer più affascinanti del cinema moderno, che uccide freddamente, apparentemente con una morale che non dà dignità ma solo una deviata casualità di salvezza, il concetto di imprevisto che pervade il senso del film. I Coen raccontano una storia univesale in maniera intelligente, violenta ma raffinata, con un gusto southern negli ambienti e nei nomi che dà il piacere delle produzioni più professionali di Hollywood. Un film che non poteva essere sbagliato.

di Gianluigi Perrone

giovedì 21 febbraio 2008

FINE PENA MAI


Fine Pena Mai - Paradiso Perduto

Italia/Francia 2008

REGIA

Davide Barletti - Lorenzo Conte

INTERPRETI

Claudio Santamaria, Valentina Cervi, Danilo De Summa, Giuseppe Ciciriello

SCENEGGIATURA

Massimiliano Di Mino, Pier Paolo Di Mino, Marco Saura

La storia di Antonio Perrone (che non è mio parente) è quella di molti criminali del sud Italia, che affamati di vita e denaro, hanno finito per autodistruggersi. Quando, dopo gli attentati di Falcone e Borsellino, lo stato ha applicato il 41bis per i criminali di Mafia, Perrone, che era arrivato ai vertici della Sacra Corona Unita, si è visto sbattere in isolamento totale a vita. Visto che avevano buttato via la chiave, si è messo a scrivere la sua biografia, Vita D'Interni che è diventata questo film dei documentaristi Davide Barletti e Lorenzo Conte. E' la voce fuoricampo dello stesso Perrone che racconta la sua storia di delinquente. Purtroppo si sente un po' troppo l'esperienza documentaristica, gli eventi del film vengono raccontati freddamente e non hanno un vero e proprio trasporto emotivo. Sono una serie di fatti messi uno dietro l'altro senza che abbiano un peso concreto nelle scene. Il tutto rende chiaramente pesante la narrazione di quello che è un noir e quindi pretende ritmo e azione. Eppure il film è ineccepibile, ha un'ottimo colonna sonora, ben fotografato e girato, ha negli interpreti protagonisti (Valentina Cervi e Claudio Santamaria) le vere forze del film, tanto che la parlata dialettale di Santamaria è molto più credibile di alcuni overacting ingenui degli interpreti veramente pugliesi. Oltretutto il film non osa in violenza e sesso e in un primo momento si può pensare che sia per imposizioni produttive ma quando si vede un frontale di un nudo di Santamaria ci si chiede allora perchè non dare un po' di sale ad una storia che lo richiedeva. Alla fine tutto è troppo anonimo e simile ad tante altre realtà, non c'è una vera trasfigurazione di quello che sono realmente i criminali di quel periodo pugliese e sostanzialmente non si riesce a raccontare una storia. Peccato veramente perchè il film aveva delle potenzialità notevoli. I due registi adesso hanno intenzione di realizzare un documentario sulla vicenda vista dal punto di vista della moglie, personaggio che nel film è notevolmente sacrificato.

di Gianluigi Perrone

mercoledì 20 febbraio 2008

LO SCAFANDRO E LA FARFALLA


Le scaphandre et le papillon

Francia 2007

REGIA

Julian Schnabel

INTERPRETI

Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Marie-Josée Croze, Anne Consigny, Patrick Chesnais, Niels Arestrup, Olatz Lopez Garmendia, Jean-Pierre Cassel

SCENEGGIATURA

Jean-Dominique Bauby,Ronald Harwood

Lo Scafandro è la Farfalla è uno di quei titoli che solitamente crea curiosità nel momento in cui esce dall'anonimato o semi-anonimato dell'indipendente arriva ad essere accostato a grossi nomi dello star systen grazie a nomination e premi vinti a destra e a manca. E' naturale che qualcosa di buono deve per forza esserci. In effetti la storia del romanzo autobiografico di Jean Dominique Bauby sarebbe il classico uovo di colombo se non fosse vera. L'uomo, ex caporedattore di una delle più vendute riviste di moda francesi, colpito da un ictus cerca di sconfiggere la depressione scrivendo, o meglio dettando il libro con l'unica maniera in cui riesce a comunicare, ovvero sbattendo l'occhio sinistro. Daniel Day Lewis aveva il piede e Jean Do ha solo il suo occhio. A differenza del film di Julian Schnabel qui si cerca un punto di vista meno drammatico e più sensibilmente umano per la situazione. Naturalmente la situazione del protagonista è estremamente dura ma la forza dell'uomo è riuscire comunque, anche nella disperazione, di prendere con ironia la cosa e non abbandonarsi a se stesso. Jean Do, una persona tendenzialmentre superficiale nè più nè meno di chiunque altro, comincia veramente a capire il senso della vita e da peso alla propria esistenza. Può sembrare banale ed infatti lo è. Il film è incredibilmente ingenuo e banale ma in qualche modo molto puro, sincero, universale. Il fatto di riuscire a strappare delle risate in una situazione tendenzialmente drammatica è sicuramente un punto a favore del film, come lo è il fatto di far riflettere sul valore della vita. Schnabel dirige nell'unica maniera possibile, ovvero in soggetttiva del protagonista ed attraverso la sua immaginazione. Non è, in tutta sincerità, quel capolavoro di cui si parla ma è un film che almeno una volta nella vita va visto per ripulire la propria anima. Non è poco.

di Gianluigi Perrone

mercoledì 13 febbraio 2008

LA GUERRA DI CHARLIE WILSON



Charlie Wilson's War

USA 2007

REGIA

Mike Nichols

INTERPRETI

Tom Hanks, Amy Adams, Julia Roberts, Philip Seymour Hoffman, Emily Blunt e Rachel Nichols

SCENEGGIATURA

Aaron Sorkin

“Siamo stati gloriosi e cambiato il mondo…e poi abbiamo mandato a farsi sfottere il finale". Questa è la frase conclusiva del film che sancisce una beffarda verità. “Noi gli abbiamo venduto le armi e addestrati; loro ci hanno buttato giù le Twin towers; ma come è possibile?” Questa invece è la domanda più ricorrente tra gli americani dal 2001”. Il perché è spiegato in questo ultimo film di Mike Nichols. La storia di Charlie Wilson, deputato Repubblicano del Texas, che negli anni ‘80 è riuscito a stanziare fondi per 1 miliardo di dollari per armare i mujahideen dell’ Afghanistan contro il nemico comune russo. Se a primo acchitto la storia sembra riportare a un certo film politico moderno (Syriana per fare un esempio) la messa in scena (che sembra più una piece teatrale) è quella di una farsa comica con un gusto sarcastico di beffeggiare il potere in qualunque parte del mondo operi. Ideologicamente parlando il film di Nichols ricorda molto lo opere di Joe Dante,tipo la seconda guerra civile americana. Il tema principale è lo stesso; l’inconsapevolezza della politica leggera e frivola di fare la storia. Qualunque piccolo gesto ha delle conseguenze grandissime nel futuro (Il battito della farfalla contemporanea). Ed è qui che il film di Nichols diventa essenziale per capire i giorni nostri. Un monumento politically correct sulla carenza di valori politici e diplomatici della nostra epoca. Il fattore storico però serve al film più da scenografia per mettere in atto battute e contro battute che risultano essere la miglior cosa del film. Gli scontri dialettici tra i vari personaggi sono egregiamente scritti e sorprendentemente recitati con un gusto squisito e ragionato ad hoc. Dialoghi costruiti ad un ritmo velocissimo che disorientano lo spettatore normale e illuminano quello che è in cerca del vero film out della stagione cinematografica (i dialoghi tra Hoffman e Hanks sono magnifici). Ma c’è poco da stupirsi: Nichols è maestro in questo. Quello che invece fa storcere il naso è la grossa quantità di dolore mostrata. Un uso bieco di gambe e braccia mozzate che non giovano allo scopo del film. Sembra che il film tenti più volte di predicare bene e razzolare male. Poche parole da spendere per la seconda parte troppo veloce e didascalica: l’impressione è che avessero fretta di finire il film anche se dura più o meno un ora e mezza. Difficile capire questa mossa. Comunque se proprio uno non riesce a farvi scomodare dalla sedia per andare a vedere questo Charlie Wilson, sappiate che vi potrete consolare con Amy Adams e i suoi capelli che dondolano come la chioma di un cavallo e delle sotto ninfette: galline ma pur sempre visioni. Menzione speciale per il ballo ultra-sexy della Emily Blunt, peccato che Nichols era più interessato a farci sentire quello che dicevano i personaggi che si scorda che della povera Blunt. Certe volte è meglio stare zitti!

di Daniele Pellegrini

sabato 9 febbraio 2008

JOHN RAMBO

Rambo

USA 2008

REGIA

Silvester Stallone

INTERPRETI

Sylvester Stallone, Julie Benz, Paul Schulze, Matthew Marsden

SCENEGGIATURA

Silvester Stallone, Art Monterastelli

Cosa rende Rocky e Rambo dei successi di pubblico così inaspettati? Sicuramente il fatto che sono pensati espressamente per i fan. Che questi film siano fatti con il cuore o con la testa, è ovvio che si sente l'intenzione sincera di rispettare il desiderio dello spettatore. PEr quanto riguarda Rambo, non è un segreto che l'appassionato della serie sia generalmente un guerrafondaio o almeno qualcuno desideroso di eplosioni,morti ammazzati e potenza di fuoco. John Rambo è questo, una sceneggiatura esilissima che racconta la storia dell'ex soldato che vive in Thailandia e traghetta dei medici senza frontiere in Birmania, in mezzo alla guerra. Questi vengono catturati dalla guerriglia e viene mandata una task force per recuperarli. Rambo naturalmente farà la sua parte. L'80% del film è una strage. Colpi in arrivo mai visti, una brutalità che è rarissima per un film commerciale, con quantità di sangue inesauribili. E' sicuramente l'episodio più exploitation della serie, con atti di violenza che ci si aspetterebbe da un torture porn, ma c'è di più. Innanzitutto si decide di parlare di una guerra non sdoganata dai media. Avvengono incredibili atrocità in Birmania ma siccome le nazioni unite non hanno interessi economici a riguardo, rimane fuori dall'interesse dell'opinione pubblica. Mettere luce sulla situazione birmana in maniera così veritiera può servire a smuovere le coscienze. Oltretutto il punto di vista sulla guerra è tutto meno che politically correct. E' un rapporto sincero e per nulla ipocrita sulla situazione. I medici senza frontiere si illudono di poter affrontare la guerra solo con mezzi pacifici ma si scontrano con la guerriglia spietata che si macchia delle azioni più turpi. Agli occhi dello spettatore i soldati, sia Rambo che il soldato coscienzioso o il mercenario, sono una categoria costretta a affrontare l'orrore giorno per giorno,perdendo ogni illusione. Personaggi tagliati con il macete ma che concretizzano il messaggio del film. Per tutti gli altri c'è puro intrattenimento all'idrogeno.

di Gianluigi Perrone

lunedì 4 febbraio 2008

REC


REC

Spagna 2007

REGIA

Jaume Balagueró, Paco Plaza

INTERPRETI

Manuela Velasco, Ferran Terraza, Vicente Gil

SCENEGGIATURA

Jaume Balagueró, Paco Plaza, Luis A. Berdejo



Parlare di REC non è affatto semplice se si vuole farne un’analisi approfondita. Non perché sia pieno di sfaccettature e doppi significati nascosti chissà dove, ma perché oltre alle immagini che ci vengono propinate, collegate ad una trama iper elementare, non vi è altro.
In due righe si può riassumere il tutto: un condominio a Barcellona in cui un epidemia “zombesca” inizia ad infettare gli inquilini. Giornalisti televisivi, abitanti, pompieri e poliziotti vi si trovano bloccati per motivi di quarantena. La telecamere resta sempre accesa in modalità “rec”, appunto.
Seguendo lo stile reality che ha portato ai fasti opere minimali come Blair Witch Project, la Filmax commissiona (ci scommetterei) a Jaume Balagueró e Paco Plaza questo film tentando di battere il ferro caldo(?) di questo particolare stile inaugurato in primis dal nostrano Cannibal Holocaust firmato Ruggero Deodato.
Le spese sono ridotte a causa delle location minimali, la camera è sempre a mano e il sonoro in presa diretta. Per chi soffre il mal di mare il film è da evitare come per chi ha problemi alle coronarie, dato che Rec è un’opera terrificante, vuota fondamentalmente, come lo è per quanto riguarda l’originalità, ma che incolla alla poltroncina dall’inizio alla fine. Essendo un simil reality, noi siamo in diretta secondo il film e vediamo attraverso l’occhio della telecamera in tempo reale quindi senza regolazioni del sonoro che esplode improvvisamente saturando il canale audio. Anche le immagini spesso diventano sfocate, la videocamera cadrà anche al suolo, ma Ángela, la giovane giornalista interpretata da Manuela Velasco, non vuole rinunciare allo scoop che potrebbe renderla famosa e di fronte alla follia degli eventi in cui si trova involucrata non pensa minimamente alla qualità delle riprese, ma unicamente che il più possibile venga registrato. Se qualche omaggio evidente a Blair Wich Project non può sfuggire le sensazioni di deja vu col remake Dawn Of the Dead di Zack Snyder sono fin troppo evidenti, quasi eccessive agli occhi di un attento osservatore.
Rec non è per questo un prodotto da cestinare, anzi, mantiene quello che promette, ossia spaventare e nulla più. Il livello di tensione cresce in un’escalation di struttura simile a quella di un videogioco fino al “livello” finale..

di Davide Casale

venerdì 1 febbraio 2008

30 GIORNI DI BUIO


30 Days of Night

USA 2008

REGIA

David Slade

INTERPRETI

Josh Hartnett, Melissa George, Danny Huston, Ben Foster

SCENEGGIATURA

Steve Niles,Stuart Beattie,Brian Nelson



Tutto in una notte. Una notte lunga 30 giorni. La città di Barrow in Alaska vive questa condizione una volta l'anno ed è l'ideale per un clan di vampiri andare lì a pasteggiare indisturbati. Questo l'assunto della fortunata graphic novel di Steve Nile e Ben Templesmith , munifica di sequels, che la GhostHouse di Sam Raimi ha deciso di consegnare nelle mani di David Slade, sulla fiducia del lavoro fatto su Hard Candy. Innanzitutto, mettetevi l'anima in pace, qui il fumetto di Niles c'entra poco. Niente vampiri "goodfellas", nessun Vincent, nessuna ironia cafona. Niente figure acuminate dalle fattezze di vetro. Quello che rimane dei succhiasangue di Templesmith è la ferocia con cui pretendono il sangue dalle vittime. Niente romanticismi, baci,poppisti,il morso è netto e si porta via bei pezzi di carne insieme al sangue. E' difficile parlare del lavoro di Slade perchè sulla carta c'è molto più di quello che alla fine vediamo in video. Slade ama la regia classica. Le avvisaglie c'erano già in Hard Candy, un costrutto tradizionale, compassato, asciutto, basato su dialoghi ed attori. Qui si è tentato di fare la stessa cosa, nellaria rareffata dell'Alaska, Slade ha tentato l'evidente omaggio a La Notte dei Morti Viventi, mettendo una comunità a confronto con se stessa di fronte ad un pericolo ignoto,terrificante e incomprensibile. Infatti la presenza della minaccia si palesa attivamente (a parte sporadiche apparizioni) solo dopo un'ora di film. Tutto il resto voleva essere lavoro su personaggio, tensione, mestiere da artigiano classico, quasi un film in bianco e nero. Il problema è che il risultato non è stato quello che Slade si aspettava. Perchè non c'è tensione, non c'è lo scontro tra personalità, decisioni, movimento delle situazioni. C'è confusione ed indecisione. Gli attori fanno un ottimo lavoro, Hatnett e Ben Foster su tutti, ma non basta certo ad interessarci alle loro chiacchiere. Oltretutto, a parte sporadici casi, questa tendenza alla ripresa classica di Slade non ha alcuna resa moderna. Semplicemente non ha un bel senso visivo,non vi sono immagini che rimangono impresse e questo perchè Slade ha volutamente girare nella maniera classica che forse è l'unica possibile per lui. Verso la fine, di sangue ne scorre e l'azione comunque non manca (esistono pure sempre dei produttori) ma l'eccesso di sofisticatezza della regia (già,perchè fare oggi un horror classico è sofisticato) cozza con il risultato finale ed è un vero peccato, perchè le aspettative erano molto alte.

di Gianluigi Perrone