venerdì 8 giugno 2007

A PROVA DI MORTE


Death Proof

USA 2007

REGIA

Quentin Tarantino

INTERPRETI

Kurt Russell,Rosario Dawson, Sydney Tamiia Poitier, Vanessa Ferlito, Jordan Ladd

SCENEGGIATURA

Quentin Tarantino


Scostiamo ogni dubbio: Grindhouse (“Death proof”) è un film terribilmente imperfetto, ma, anche per questo, esperienza quasi unica e emozionale. Non siamo davanti ad un capolavoro come poteva essere per Le iene, Pulp fiction o il dittico Kill Bill, ma in un divertissement che trasuda amore per i generi, quasi in un esplosione orgasmica incontrollabile che risulta rivoluzione al pari di un “A bout de souffle” di Godard. Certo il cinema tarantiniano è all’apparenza diverso, fottutamente in antitesi con la nouvelle vogue godardiana, ma l’anima è sempre quella snobista che mastica celluloide fin dai manifesti nelle camere dei protagonisti per diventare metacinema intellettuale. Se Godard ne “Il disprezzo” parla di cinema grazie a registi e a produttori, l’attenzione di Tarantino è spostata nella “Manovalanza”, i cascatori, le comparse che silenziosamente fanno il lavoro più grande e sotterraneo per le produzioni. Stundman Mike è l’anima più nera di questi bastardi reietti, ha dato il viso per quei film e ora il suo grido di protagonismo,dopo anni di anonimato, sfocia nel sangue. Ma, genio di un Tarantino, anche in questo caso il personaggio del killer è contorno alla vicenda, il geocentrismo del regista è nel gineprio femminile, come già ai tempi nel discontinuo “Jackie Brown”. Il mondo delle donne è il fulcro che muove e attira le persone come mosche, qualcosa di così ermeticamente poetico da essere quasi una sorta di James Ivory cresciuto tra le gang del bronx perché dietro all’infinità di “cazzo” e “pezzo di merda” si nascondono ritratti non banali di donne in amore. Kurt Russel è splendido, ma nel complesso tutti gli attori fanno la loro bella scena, compresi anche i non attori, la stessa “manovalanza” eretta a protagonista del film con Zoe Bell, controfigura di Uma Thurman in “Kill Bill”. Tarantino dietro gli effetti vintage riesce a fregare tutti, spaccia per exploitation quella che non è, in un contesto liquidato frettolosamente dal Mereghetti come “chiacchere e inseguimenti”. Non ci sono nudi sbattuti in faccia allo spettatore né morti nei primi quindici minuti (per dirla alla Corman), ma dialoghi infiniti scritti da Dio e violenza centellinata col contagocce. Che exploitation avrebbe mai potuto essere questo? In questo mondo dove Sergio Martino sui mischia con Burt Reynolds dove il retrogusto misogino diventa vendetta uterina femminista il divertimento è solo per chi sa ancora apprezzare un film per le sensazioni che realmente da. Gli altri possano pure piangere come femminucce o sputare sangue come maiali. Le ragazze di Faster Pussycat Kill! Kill! risorgono dopo più di trent’anni in queste immagini regalandoci uno dei finali più lunghi e selvaggi degli ultimi anni. Roba quasi da non crederci quando il piede pietoso e virginio di Rosario Dawson perde la purezza nel sangue. Wow!

Nota a margine: La versione visionata è quella più lunga di venti minuti. Sostanzialmente non cambia granché dal girato originale. Erano restati fuori alcuni dialoghi, una scena dove “Butterfly” andava a pomiciare in auto con uno dei ragazzi e una lunga sequenza dove Stundman Mike incontra le altre ragazze in un parcheggio. Questa si può definire la più interessante perché Tarantino come in “Kill Bill volume 1” azzera il colore e mostra la psicopatia sotterranea del personaggio di Russel.
Questi prima odora i piedi di una Rosario Dawson semi addormentata poi frega la sua barba contro di essi svegliandola di soprassalto. Il feticismo tarantiniano per i piedi è celebre dai tempi di Bridgette Fonda e “Jackie Brown”. Se si pensa poi che il film inizia con un paio di piedi inquadrati per lunghi minuti si possono tirare le somme sulle fantasie erotiche del regista. Ma la cosa importante è un’altra: quando mai apriranno in Italia i Big Kahuna Burger? Li vogliamo quei fottuti panini hawaiani.

di Andrea Lanza

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