venerdì 7 dicembre 2007

1408


1408

USA 2007

REGIA

Mikael Hafström

INTERPRETI

John Cusack, Samuel L. Jackson, Mary McCormack, Jasmine Jessica Anthony

SCENEGGIATURA

Matt Greenberg, Scott Alexander, Larry Karaszewski

Belli i tempi in cui Stephen King era sinonimo di garanzia per libri o film. Ora i suoi lettori (e spettatori) sono cresciuti e di merda ne hanno inghiottita a iosa, hanno capito che non per forza il binomio libro buono da’ un film buono. Certo non tutti i registi sono Carpenter o Romero e col senno di poi l’It televisivo era per lo meno vedibile, ma ultimamente le opere tratte da King oltre ad essersi notevolmente assottigliate nel tempo sono diventati compitini presuntuosi che ruotano intorno a quei due o tre temi cari allo scrittore del Maine. Questo 1408 non fa difetto alla sequela di filmetti dimenticabili, anzi ne diviene l’alfiere più autorevole con una pochezza di idee preoccupante e attori di un certo calibro come Cusack o Lee Jackson sciupati in marchette alimentari. La storia è sempre quella, da Shining in avanti, con una camera diabolica che spinge alla follia chi ha il coraggio di affittarla. Interessante certo lo sforzo in fase di scrittura di rendere ancora più umano il personaggio del protagonista, rispetto al raccontino originale di King, affibbiandogli un passato luttuoso con figlia uccisa da malattia. Poteva essere una pellicola quindi anche gradevole se il regista svedese Mikael Hafström e i suoi tre sceneggiatori avessero avuto per lo meno un’idea di cosa sia un film del terrore non banale e tutto il plot invece gira su stesso regalandoci almeno due finali senza mai sapere dove parare. 1408 poteva essere un episodio ottimo di “Masters of horror” se fosse durato 50 minuti, ma i suoi 104 minuti pesano come un macigno. Non aiuta poi certo che i produttori, come spesso in tanto cinema recente d’autore o no (Captivity, Hitman), abbiano defenestrato nel final cut il regista in favore di leggi commerciali non molto condivisibili sul piano qualitativo. Quindi nel volere di Mikael Hafström (autore di un interessante “Evil” e di un brutto “Derailed”) il finale era molto più plumbeo e cattivo. Oddio, non che la cosa avrebbe alzato più di tanto il tiro, ma per lo meno si sarebbe potuto giudicare l’opera nel suo complesso. Consigliato solo a chi è stato dal 1940 in Himalaya senza possibilità di andare al cinema o vedere la tv.

di Andrea Lanza

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