martedì 16 ottobre 2007

REIGN OVER ME


Reign over me

USA 2007

REGIA

Mike Binder

INTERPRETI

Adam Sandler, Don Cheadle, Jada Pinkett Smith, Liv Tyler, Mike Binder, Donald Sutherland

SCENEGGIATURA

Mike Binder

Alan Johnson (Don Cheadle) è un Dentista di New York, debilitato da un moglie dolente e intrappolato da un lavoro non soddisfacente. Un giorno, casualmente, incontra Charlie Fineman (Adam Sandler), suo vecchio compagno di università, dilaniato dalla perdita della propria famiglia nel fatidico 11 settembre. Charlie per paura di ricordare il suo dramma famigliare si chiude completamente al mondo, creandone uno suo fatto di musica anni '70, Mel Brooks, ristoranti Cinesi e Shadow of Colossus. Il Dott. Johson cercherà di aiutare Charlie a ricordare. Naturalmente è facile parlare di 11 settembre: la tragedia e l'orrore erano sotto gli occhi di tutti. Quello che non è facile è parlare del post-11 settembre: i giorni della paura, dell'incomunicabilità, della voglia di non tornare indietro a riflettere. Reign over me parla di questo. Charlie è solo uno dei tanti alienati che si chiude come un riccio pur di non affrontare le proprie paure in un città soffocata dall'incapacità di giustizia (e la giustizia non è la legge del taglione). New York (incredibilmente fotografata) è il grosso colosso che pesa sulle spalle dei loro abitanti (importante in questo caso la similitudine con Shadow of Colossus). Charlie, non ha fatto niente di speciale; a differenza degl'altri ha trovato solo il modo per non piangere. Magari non è per amicizia ma più per curiosità (come ogni persona al mondo davanti ad un Tv) che il dott. Johnson lo accompagna verso il viaggio per ricordare. Lui vuole sapere. E' desideroso di sapere come può essere stare da soli: se c'è plausibilità nell'isolamento. Lui vuole essere Charlie senza il dolore. Un modo egoistico per non affrontare i problemi. Eppure lui non ha sofferto nessuna perdita nell' 11 settembre, ma vuole scappare come Charlie. L'11 settembre forse è solo il giorno in cui la maggior parte della popolazione si è resa conto di essere indeterminante per le sorti del mondo. E' se non c'è voglia di parlarne, resta solo la frustrazione. Magari mi sbaglierò, ma questo Reign over me (citazione di una canzone di Quadrophenia degli Who) non è il semplice lacrima movie anche se dal finale si direbbe di si. Manca la compatibilità tra i personaggi e gli spettatori. Nessuno vorrebbe essere un uomo che asseconda i problemi e di certo nessuno verserà mai lacrime per dei sociopatici volontari. Questo non significa che il film non emoziona, anzi il motore principale del film è emotivo. L'attesa per quel pianto liberatorio è snervante quanto basta per renderlo uno dei film più drammatici dell'anno. Ma c'è dell' altro in questo Reign over me: un dito medio alzato verso un mondo che non si rispecchia più. Quella voglia maledetta di essere lasciati in pace. Qualche parola va spesa anche per un monumentale Adam Sandler. In precedenza non avevo grande simpatia per questo attore (anche quando aveva lavorato con Anderson). Ma la sua interpretazione in questo film a metà tra il drammatico e il buffo (ricorda molto il primo Hoffman) vale da solo tutto il film. Applausi per lui.

di Daniele Pellegrini

lunedì 15 ottobre 2007

MR BROOKS

Mr Brooks

USA 2007

REGIA

Bruce A. Evans

INTERPRETI

Kevin Costner, Dane Cook, Demi Moore, William Hurt

SCENEGGIATURA

Bruce A. Evans,Raynold Gideon




Earl Brooks (Kevin Costner) è un famoso imprenditore, uomo dell'anno ma è sopratutto il killer dell'impronte. Doppia personalità o secondo lavoro: chiamatelo come vi pare, ma Mr.Brooks è bravo in quello che fa. Tanto bravo a cancellare le prove che nessuno è ancora riuscito a prenderlo. Vorrebbe smettere, ma il suo Alter Ego di nome Marshall (William Hurt) glielo impedisce. Un giorno per errore durante un omicidio lascia le finestre aperte e un fotografo voyeurista (Dane Cook) scatta delle foto e lo ricatta chiedendogli se può insegnargli a diventare un serial killer. Come se non bastasse l' isterica detective Tracy Atwood (Demi Moore) è vicinissima ad incastrare Mr.Brooks.
Improbabilità è il termine giusto per definire questo film. Dove è finita la logica narrativa? mettere in scena un Alter Ego che gigioneggia per due ore di film, fottendosi dei tempi cinematografici, è roba da folli. Per non parlare dell' intuizioni miracolose della detective o di come vengono a contatto i vari personaggio. Il film inoltre costruisce anche delle teorie infondate sull'eredità genetica del serial killer. Magari bastava accentrare la storia sul solo e unico Mr.Brook ma il film ci propina una miriade di personaggi (e di serial killer) che riescono a distogliere lo spettatore dal tema principale. Neanche si può affermare che sia un occasione sprecata in quanto di queste storie c'è ne sono state e c'è ne saranno per sempre. Il tema dello sdoppiamento come quello dell’insospettabilità del serial killer (Petri insegna) è stato usato e abusato spesso dal cinema e Mr. Brooks ne esce al confronto da incompetente . C'è solo un piccolissimo interesse nel vedere un Costner diverso dal solito. Insignificante soddisfazione, insieme al bel finale che non può certo elevare un film come Mr.Brooks.

di Daniele Pellegrini

CEMENTO ARMATO


Cemento Armato

Italia 2007

REGIA

Marco Martani

INTERPRETI

Giorgio Faletti, Nicolas Vaporidis e Carolina Crescentini

SCENEGGIATURA

Fausto Brizzi


Senza mettere in mezzo la polemica noiosa e ipocrita sulla morte vera o presunta del cinema italiano, Cemento armato rimane comunque uno di quei film nati per far discutere. Fa discutere perché realizzato in un periodo in cui sembra che tutti debbano per forza urlare e dimostrare che i generi ancora esistono, e godono di ottima salute. Niente di più falso. Almeno nel caso del film di Marco Martani: tentativo lodevole, indubbiamente, ma se questo è sufficiente a giustificare qualsivoglia risultato, allora significa che la crisi c’è ed è anche grossa. Il motivo della tragica malriuscita di Cemento Armato, a pensarci bene, è uno solo: dimentichiamo per un attimo la sceneggiatura colabrodo e incoerente, i dialoghi da farsa e le interpretazioni dilettantesche, perché hanno il loro ruolo solamente fino a un certo punto. No, il problema del film si chiama televisione. O fiction, che dir si voglia. Cemento armato è talmente subordinato agli standard televisivi di questi tempi da mettere veramente una gran tristezza: non c’è cinema in tutto questo, non c’è nessuna idea, nessuna visione del mondo o delle cose; Cemento Armato vorrebbe volare alto, ma finisce per cadere rovinosamente a terra con un gran tonfo. Trasmettiamolo in prima serata su Canale 5, e vi accorgerete che nessuno saprebbe distinguerlo da un Distretto di polizia qualsiasi: eccola qua la prova del nove. C’è chi, per difenderlo, tira in ballo i poliziotteschi anni 70, di come siano stati sottovalutati all’epoca auspicando tra qualche anno una rivalutazione anche di Cemento Armato: chi sostiene questo dimentica forse che, nel cinema italiano di trent’anni fa - bello o brutto che fosse - la fiction non era ancora cancro per le idee e i generi come invece accade oggi. E la conseguenza è il ridicolo involontario, sempre pronto a fare capolino da dietro l’angolo.

di Giacomo Calzoni

domenica 14 ottobre 2007

RESIDENT EVIL 3


Resident Evil: Extinction

USA 2007

REGIA

Russell Mulcahy

INTERPRETI

Mike Epps, Milla Jovovich, Sienna Guillory, Oded Fehr, Iain Glen

SCENEGGIATURA

Paul W. S. Anderson


Diciamolo: la trilogia di “Resident Evil” è già un classico per le nuove leve al pari forse di come è stata la trilogia romeriana per le vecchie generazioni. Certo facendo le legittime distanze: Romero è un classico, sicuramente più artistico di quanto possa essere mai la saga con Milla Jovovich. Paragonarli sarebbe già ingrato, come mettere a confronto un Kubrick con un Danny Boyle, anche se quest’ultimo ha portato sul grande schermo un’interessante e affascinante versione personale di “2001”. Ma è l’approccio con il tema a rendere paragonabile i due animi: da un lato l’arte, dall’altra la fruizione popolare, ma con lo stessa identico tema, quello degli zombi. “Mezzogiorno di fuoco” è un capolavoro? Certo. Tex Willer è immondizia? No di certo. Nel 1979 quando gli Zombi di “Dawn of the dead” irruppero su tutti gli schermi trovarono un mondo lontano da questo odierno, niente computer, che cazzo era la Ps2, l’X box, il Nintendo, loro eravamo noi, ora non più. “Resident evil” nasce da un videogame che nasce dai film di Romero, due mondi di per se stesso incolmabili, tanto che lo stesso Romero fallirà nel tentativo di dirigere il primo “Resident evil” e ci riuscirà egregiamente il quasi sconosciuto Paul W.S. Anderson. Romero è e resta un grandissimo, sia detto senza timore, ma ora come ora si agita come un ritornante di Anne Rice tra prove sbagliate (Bruiser) ed altre che vent’anni prima sarebbero state innovative (Land of the dead). Questo non è il suo mondo, i suoi ragazzi cadaveri ne hanno fatta di strada da “La notte dei morti viventi”, si sono fatti furbi, corrono persino, questa “Terra dei morti viventi” dev’essere descritta da altri. E perciò entra in campo “Resident Evil”, la zombie saga per eccellenza del nuovo millennio. Quello che contraddistingue i tre capitoli è la diversità della regia, l’approccio dei tre registi nell’affrontare la stessa vicenda nel suo evolversi: più classica in Anderson, più adrenalinica in Witt e più apocalittica in Mulcahy. Ogni tassello di questa epopea è uno sguardo in una diversa rappresentazione dell’irreale narrato. In questa terza parte Mulcahy ci porta direttamente all’inferno, una landa desolata ormai dominio dei morti viventi, in un’idea saccheggiata e ampliata da “Day of the dead” di Romero. Mulcahy sia chiaro è regista inetto, ha girato di buono in vita sua solo due o tre film, ma qui è in uno stato di grazia senza paragoni, non cade mai nel facile virtuosismo, ma mantiene una regia sobria, quasi fordiana. E qui siamo in campo western senza dubbio, con queste carovane di disperati che passano di città in città, dove i cattivi, gli indiani, sono stati sostituiti da zombi. Non esiste sceneggiatura forse è vero, ma c’è un divertissement non banale nel passare da schema in schema come si trattasse di un videogioco della serie. Si ha la famiglia di stupratori (cannibali?) con cani mutanti al servizio, i corvi spolpa carne, gli zombi podisti e quelli più lenti, ogni quadro sempre più difficile fino al boss finale, uno scienziato che i puristi chiameranno Tyrant, dalle sembianze di un umanoide tentacolare. La sceneggiatura banalizza quello che poteva essere studiato meglio (i rapporti coi personaggi, i legami col capitolo precedente), ma gioca con i luoghi comuni della serie con una certa abilità (vedere l’intro con la morte dell’eroina). Anche l’impianto scenografico fa la sua bella figura, con una Las Vegas diventata discarica del mondo, roba certo non di seconda scelta. E’ cinema pop corn sicuramente, per alcuni cafonata usa e getta, ma diamine tremendamente divertente. E come fare a non parteggiare per l’eroe quando sorridente si fa saltare in aria mentre fuma un cannone? E’ cinema all’ennesima potenza non ci sono dubbi.

di Andrea Lanza

mercoledì 10 ottobre 2007

SHREK TERZO


Shrek the Third

USA 2007

REGIA

Raman Hui, Chris Miller

INTERPRETI

Mike Myers, Eddie Murphy,Cameron Diaz, Antonio Banderas, John Cleese

SCENEGGIATURA

Jeffrey Price,Peter S. Seaman,Jon Zack

La saga di Shrek arriva al terzo capitolo e segna un'altra tacca importante per le vittorie della computer grafica. Questa volta Shrek si deve confrontare con la paternità e la corte di Far Far Away con l'attacco dei cattivi a capo del principe Azzurro. Al di là degli eventi, quello che diverte sono le gag incredibilmente esilaranti e la bravura degli sceneggiatori a inquadrare dei personaggi da fiaba in situazioni moderne ed esilaranti. Ogni personaggio diventa un grande comico slapstick, si umanizzano in maniera mi fatta prima. Tecnicamente si fanno passi da gigante. Oramai quello che non è plausibile sono solo i volti. Peli,lana,cotone,roccia sono tutti reali. L'effetto è consegnato ancora di più grazie alla regia che sembra esistere e muoversi in un ambiente che in realtà non esiste. Quindi dovrebbe essere inutile ma in realtà è una ripresa geniale per rendere rendere tutto reale,soprattutto nelle scene d'azione.

di Gianluigi Perrone

UN'IMPRESA DA DIO


Evan Almighty

USA 2007

REGIA

Tom Shadyac

INTERPRETI

Steve Carell, Morgan Freeman, Lauren Graham, John Goodman.

SCENEGGIATURA

Steve Oedekerk, Joel Cohen

Il primo film, Una Settimana da Dio di Tom Shadyac, era un ritorno commerciale di Jim Carrey a ruoli più rassicuranti per il pubblico, con il team di film fortunati come Bugiardo Bugiardo. Qui Steve Carrell, star del Saturday Night Live, era solo una comparda. Adesso, con i successi di 40 anni vergine e la serie The Office, versione americana della serie inglese, viene promosso a protagonista ed il film diventa Evan Almighty. Qui sappiamo subito che il protagonista diventa da giornalista televisivo a membro del congresso a Washington D.C. e ha una nuova vita piena di autocelebrazione,fitta di impegni e assolutamente priva di dedizione della famiglia. Dio, che come si sa gira solo da quelle parti, negli States(c' ha la casa a Los Angeles nella casa che era di Marlon Brando, vicino di Jack Nicholson) lo incontra e lo intima a costruire una nuova arca dell'alleanza. Sapevate che Mosè era stato scelto per avere la barba e i capelli lunghi? Perchè a Evan cominciano a crescere e si trova costretto a portare famiglia e 150 animali a spasso con il barcone. Già, peccato che Steve Carrell non è Jim Carrey e che senza l'istrionico attore a rimbalzare per i muri non c'è soluzione. Non che Carrell non sia efficace ma ha una comicità diversa, più tongue-in-cheeck, che diventa assurda quando è Brick in Anchorman o il buon sfigatone di 40 Anni Vergine. Però non c'è mordente in Evan Almighty e il film si fa guardare solo per l'immane uso di computer grafica.

di Gianluigi Perrone